di Giorgio Vaiana
E’ una storia che sembra quasi un romanzo.
E ha tutto della letteratura contemporanea. Gli studi, un sogno che in terra natìa non si realizza, le nuove opportunità in un altro luogo e poi il ritorno, come un innamorato, nella terra che si era lasciata tanti anni prima. Lui è Emanuele Vitrano, anche se tutti gli amici lo chiamano Elio. Una vita fatta di gestione di alberghi nella Milano dei “cumenda”, della velocità e degli affari, oggi un ritorno “slow” nella sua Sicilia, a Salina. Dove è tornato a fare l’albergatore, ma in piccolo, nel suo mondo, acquisendo Punta Scario, nell’omonima zona dell’isola che fa parte dele Eolie patrimonio Unesco. Vitrano, classe 1958, in tasca una laurea in agraria con il massimo dei voti, aveva le idee molto chiare. E voleva proseguire nel mondo lavorativo il suo percorso di studi. Ma la realtà siciliana degli anni ’80 non era molto semplice “e fare la professione che pensavo – racconta Vitrano – ossia l’agronomo, era impossibile”. Lui provava a perseguire e inseguire il suo sogno, “ma mi scontravo con realtà assurde e mi rendevo conto che tutto quello che avevo studiato era davvero inutile”.
(Emanuele “Elio” Vitrano)
Già perché in Sicilia a quei tempi era perfino difficile farsi dare un acconto di 50 mila lire per i lavori da fare: “E stiamo parlando anche di coloro che erano pieni di soldi – dice Vitrano – A quel punto mi era venuta voglia di scappare”. All’orizzonte, dunque, per Vitrano c’è il sogno americano: “Ma il caso aveva dipinto un nuovo destino”, dice sorridendo Vitrano. Alla fine degli anni ’70, infatti, suo padre aveva comprato il ristorante Al Cassaro che a Palermo era un vero punto di riferimento. Qualche anno dopo, in società con un amico, avevano comprato a Milano l’hotel Zurigo. “A quel punto ho detto a mio padre che sarei andato lì a lavorare qualche mese, per mettere da parte qualche soldo prima di partire per l’America”, racconta Vitrano. Ma lì la folgorazione. La Milano di allora (in realtà anche oggi) affascina per i suoi ritmi, per l’aria internazionale che ti fa respirare, quell’aria di business, di affari, di vita diversa. Una vita che Vitrano aveva solo sognato. “Cominciai a vedere un mondo diverso e mi piaceva – dice – e quasi per schezo dissi al socio di mio padre di vendermi la sua quota”. Detto, fatto. In banca per un prestito di 400 milioni di lire, Emanuele Vitrano diventa il socio di suo padre. “E sottolineo – dice – che mio padre non mi ha mai finanziato. Ho fatto tutto da solo”. Inizia dunque la nuova vita di Emanuele che studia alla Bocconi direzione aziendale “per fare al meglio il mio lavoro” e gestisce con piglio, sicurezza e bravura l’hotel Zurigo. E pian piano arrivano i successi e le nuove acquisizioni. Negli anni compra Brera Hotel, Carlyle Brera, l’Ariston e l’Ariosto. E proprio su quest’ultimo albergo Vitrano racconta una storia interessante: “Nel 1990 abbiamo avviato un importante intervento di ristrutturazione – dice – E’ stata la prima ristrutturazione in Europa fatta con i concetti della bioarchitettura. Oggi se ne sente parlare sempre più spesso, ma 30 anni fa erano cose inconcepibili. Oltre che costavano il triplo di una manutenzione normale”. Un investimento felice. Perché, come racconta lo stesso imprenditore, ha recuperato le spese in un anno: “Tutto il mondo ha parlato del nostro albergo e tutto il mondo, di conseguenza, ci ha chiesto di poter dormire da noi”.
(Salina)
Vitrano a Milano ha trovato dunque la sua caa. E’ diventato anche il vicepresidente dell’associazione degli albergatori a Milano, “e all’inizio non è che venissi visto nel migliore dei modi”. Ma due anni fa Vitrano ha deciso di rallentare la sua vita: “Volevo cambiare di nuovo prospettiva”, dice. Ha cambiato “faccia” al suo Ariosto trasformandolo in un residence con appartamenti di lusso. Ma c’è di più: “Dentro ci sono una palestra, un bistrot, una boutique, una parrucchiera – spiega Vitrano – ma la novità consiste nel fatto che ho creato il primo shop hotel”. Infatti tutto quello che si trova all’interno del residence può essere acquistato dal cliente attraverso una App: dalla lampada al lenzuolo, passando per gli arredi dell’albergo. E poi arriviamo a Salina, la nuova “casa” di Vitrano. Qui adesso convive con Valeria Benatti, volto noto di Rtl e sua compagna di vita. “Conoscevo Salina, ma la guardavo sempre da lontano, in alto mare – dice – Poi nel 1990 ho deciso di sbarcare e ho conosciuto la realtà del Signum e della splendida famiglia Caruso”. Avviene la folgorazione: “Salina è una realtà meravigliosa – racconta – un’isola stupenda, un bosco galleggiante. Le altre isole sono bellissime, ma nessuna ha il fascino di Salina”.
(Punta Scario)
Ora ha acquisito Punta Scario: “Il mio piccolo giocattolo”, lo definisce Vitrano. Si tratta di 17 camere in uno dei posti più belli dell’Isola. “Il lockdown ha un po’ cambiato i miei piani – dice Vitrano – Devo iniziare gli interventi di ristrutturazione, comprese due case che fanno parte integrante della struttura”. E come sarà il nuovo Punta Scario? “Lo trasformerò secondo importanti criteri ecologici – dice Vitrano – Pannelli solari, plastica zero, bici per gli ospiti. La nuova mission è quella di dare una mano all’isola di Salina a trovare un suo equilibrio ambientale”. A novembre arriveranno le autorizzazioni. Punta Scario sarà un resort con 15 suite e due appartamenti: “Una struttura di altissimo livello e per una clientela importante”. Insomma per Emanuele Vitrano il futuro è tutto siciliano: “Milano è stata come una mamma – dice – Mi ha insegnato tantissimo, mi ha accolto e mi ha permesso di esprimermi. Io non ho rancori nei confronti della Sicilia. Adoro Palermo e mi sento palermitano. Conosco tutti i basolati del centro storico, da via Alloro alla Vucciria. Ho sempre avuto il richiamo della Sicilia. E adesso sono di nuovo qui. Vivo in equilibrio tra Milano e Salina. Mi è tornata la voglia di fare quello che mi piace: accogliere la gente, stare a chiacchierare ore con loro. Ho girato il mondo stando fermo, grazie alle amicizie che mi sono fatto in tutti i continenti. Impari tantissimo dalle persone, le loro culture, le loro lingue, i loro atteggiamenti”.