di Ambra Cusimano
Samantha di Laura nasce a Vercelli da genitori di origini madonite, in provincia di Palermo, si diploma al Liceo Classico e si iscrive alla facoltà di Lingue Orientali della Ca’ Foscari di Venezia.
Successivamente consegue un Imba presso l’Università Politecnica di Madrid per poi trasferirsi a Damasco con la volontà di approfondire la lingua araba. A venticinque anni il ritorno a Vercelli, per lavorare presso l’azienda Euricom e trascorsi cinque anni durante i quali apprende le dinamiche di mercato e commercio del settore agroalimentare, la protagonista di questa storia si trasferisce a Siviglia. Qui inizia a lavorare per Ebro Foods, multinazionale specializzata nella trasformazione alimentare. La vita che conduce è stimolante e le consente di fare grandi passi avanti dal punto di vista professionale. Ma a Samantha manca qualcosa, o meglio, un desiderio comincia a farsi strada nella sua mente e nel suo cuore. Vivere in Sicilia. Quella Sicilia che conosceva fin da piccina, quando andava a trovare i nonni durante le vacanze estive e dove restava per diversi mesi. Durante quel tempo trascorso sull’isola aveva iniziato ad apprezzarne le sfaccettature intrecciando uno stretto legame con la natura e con la terra.
“Hanno tentato svariate volte di dissuadermi dall’idea di venire a vivere in Sicilia. Tutti. Amici, colleghi e persino clienti”, racconta. Una sera però, la svolta. Suo cugino le suggerisce di mandare un curriculum all’azienda vinicola Settesoli che si trova a Menfi in provincia di Agigento Dopo pochi giorni un’altra telefonata. Diego Planeta in persona contatta Samantha perché desidera incontrarla. Nel 2007 Samantha si trasferisce nella Sicilia Occidentale per lavorare come direttore commerciale Italia dell’allora cooperativa vitivinicola più grande dell’isola. “E’ stato un bel cambiamento di rotta, non solo per il trasferimento fisico da un paese all’altro, bensì per il prodotto che avrei dovuto commercializzare. Di vino non sapevo assolutamente nulla – dice – Durante gli otto anni trascorsi presso Settesoli mi sono divertita molto, con il team che mi affiancava abbiamo raggiunto importanti obiettivi e soprattutto, ciò che mi stimolava, era lavorare con e per gli agricoltori”.
Nel 2015 giunge la decisione di lasciare Settesoli e fondare la sua azienda sotto il nome di Scirocco Ethical Sales Management, una direzione commerciale in outsourcing specializzata nell’agroalimentare. “Fin da piccola mia madre mi aveva soprannominata Scirocco, perché avendo sempre viaggiato molto e vissuto fuori, tutte le volte che torno a casa porto scompiglio, faccio un po’ di casino e poi vado via. E mia mamma allora esordiva dicendo: “Ecco, è arrivata Scirocco!” Era un nome già papabile, ma c’era dell’altro. Lo scirocco è un vento che nasce a sud-est e in Siria, dove ho vissuto e dove ho lasciato un pezzo di cuore, lo chiamano syrwkw. Mi piaceva l’idea che ci fosse un collegamento con il Medio Oriente a me tanto caro. Per quanto concerne la parola Ethical, era fondamentale per me sottolineare quanto sia importante per l’azienda il rispetto della terra, di chi lavora e di chi investe nei propri sogni”. Tra il 2018 ed il 2019 Samantha comincia a sviluppare delle allergie incrociate che la costringono ad assumere uno stile dietetico molto rigido. “E’ stato come dover affrontare una durissima prova. Non ero più libera di mangiare e di bere ciò che desideravo.” In quello stesso periodo incontra l’enologo trentino Mattia Filippi al quale racconta del suo problema e con il quale si confronta a riguardo. “Un giorno Mattia si presenta con un campione di vino senza etichetta e con solo il tappo a corona. Mi dice di provarlo e di vedere che reazione avrei avuto bevendolo. Mi sono scolata l’intera bottiglia e sono stata bene. Era un esperimento ben riuscito e dal momento che nessuno ancora lo produceva, ho proposto a Mattia di farlo insieme”. Questo metodo ancestrale integrale, non filtrato e rifermentato in bottiglia è prodotto con solo uve Inzolia, vitigno autoctono siciliano “in cui credo tantissimo – afferma Samantha – L’Inzolia ha un’espressione in bottiglia dal punto di vista di sentori ed aromi che è fantastica (se viene trattato nel giusto modo), così com’è straordinario il suo nome che richiama l’insula, l’isola, in cui viene coltivato. Questo per me è il vitigno della Sicilia”.
Il progetto Lucìe prende così forma e il vino comincia ad essere prodotto e commercializzato. Le uve vengono acquistate e provengono da vigneti che si trovano a Santa Ninfa, al confine con il territorio di Marsala e sono in tutto quattro. Durante la vinificazione le uve vengono pressate secondo le regole del metodo spumante. Il mosto viene ottenuto per caduta (free-run). La prima fermentazione avviene in serbatoi d’acciaio per venti giorni e successivamente il vino sosta per due mesi sulle fecce nobili. Trascorso questo periodo avviene l’imbottigliamento con aggiunta dei suoi lieviti e di mosto d’uva. Così inizia la seconda fermentazione in bottiglia e dopo qualche mese viene immesso sul mercato. “Perché il nome Lucìe? Perché ha un immediato richiamo alle bollicine, alla luminosità del vino, ma non solo. Con la scelta di questo nome ho voluto porre un accento anche su tutte quelle donne che per me sono portatrici di luce, quelle che io definisco per l’appunto Lucìe”. La prima produzione è avvenuta nel 2020, a ridosso del primo lockdown, e si è aggirata intorno le seicento bottiglie che sono state vendute nel giro di pochissimo tempo nonostante il periodo. Nel 2021 la seconda produzione e l’inizio del secondo lockdown. “Ho vacillato un po’ il secondo anno. Non sapevo se continuare con questo progetto. Mi consolava il fatto che nel frattempo continuavo con le consulenze senza troppi intoppi.” Samantha non demorde portando la produzione oggi a quasi settemila bottiglie vendute sia sul territorio nazionale che internazionale.