La Madia, il suo celebre ristorante, si sposta nel centro del paese e diventerà anche un luogo di accoglienza per gli ospiti
di Clara Minissale
Progetti, idee, sogni. Ma anche certezze, perché bisogna avere una base solida sulla quale appoggiarsi. Licata, la Sicilia, il resto del mondo, perché bisogna avere orizzonti ampi per crescere ancora.
Pino Cuttaia, chef due stelle Michelin de La Madia, ha messo sul tavolo per Cronache di Gusto i suoi programmi per l’anno appena arrivato e la nostra lunga chiacchierata è stata anche l’occasione per parlare della cucina siciliana, dei giovani, della sua idea di cuoco, di paure e speranze. A cominciare da quella più importante, la realizzazione di una nuova Madia nella strada in cui è nato, in una palazzina nel centro storico di Licata, che diventerà un boutique hotel “con sei o sette camere per garantire l’accoglienza ai nostri ospiti. Gli alberghi, oggi, offrono più servizi di quanto non faccia la sola ristorazione – spiega lo chef –. In questo modo riusciremo a coccolare i clienti a 360 gradi”. Per realizzare la struttura che Cuttaia ha in mente, ci vorrà almeno un anno da quando prenderanno il via i lavori “che spero di iniziare al più presto”, dice.
Intanto dal 15 al 30 gennaio il ristorante di corso Re Capriata si fermerà per qualche giorno. Ma non lo chef, che dal 14 al 17 sarà a Care’s in Alta Badia, a presentare un approccio etico e sostenibile al cibo insieme a chef di tutto il mondo (leggi questo articolo e clicca qui per vedere il programma completo). Sarà un’occasione per parlare del suo legame con la terra (e infatti cucinerà ciò che sulla terra vive, le lumache, con ciò di cui loro si nutrono, bietole e tuberi “perché è così che si chiude il cerchio”) ma anche per portare un po’ di Sicilia fuori dall’Isola. Perché questa è una delle sue missioni, “un po’ come sta facendo lo chef Nino Graziano con i suoi ristoranti – dice – per dare alla gente la possibilità di arrivare in Sicilia innanzitutto incuriosendola con la nostra cucina”. Non a caso nel suo quaderno dei progetti per il 2018 c’è una consulenza all’estero, un modo, anche questo, per esportare il know how isolano.
“La cucina siciliana, negli ultimi anni, è cresciuta parecchio e oggi i cuochi della mia generazione sono di riferimento per quelli più giovani – afferma – Ma è innanzitutto un fatto anagrafico che ti permette di avere quella continuità che ti fa crescere insieme agli ingredienti, senza abbassare mai la guardia. Ai giovani manca l’esperienza che si fa nel tempo. L’importante è non voler essere mai troppo di tendenza ma cercare una cucina personale, che li identifichi, senza scimmiottare nessuno, senza avere fretta di creare un piatto nuovo che – assicura – arriverà, statene certi, se avrete seguito il giusto percorso”. E poi c’è l’ingrediente segreto che, secondo Cuttaia, è l’autenticità unita ad una buona dose di pazienza, “due elementi che si ritrovano nel gesto domestico della mamma che prepara da mangiare per la famiglia, sul quale io sto lavorando tanto, perché rappresenta la continuità tra madre e figlio. I ritmi delle nostre case sono cambiati, le abitudini anche e il cuoco è rimasto ormai l’ultimo custode di questa gestualità e l’unico che possa tramandarla”. Un’idea che sintetizza il Cuttaia-pensiero in cucina e che contrasta con il mondo che va troppo di fretta, lasciando alle spalle, come fosse poca roba, gesti e saperi che per anni hanno nutrito intere generazioni.
“Un cuoco con i suoi piatti può risvegliare ricordi ed anche per questo sto lavorando sul recupero del gesto domestico che, naturalmente, unisco a tecnica e creatività (come non ricordare il nocciolo di limone lasciato cadere a bella posta sul pesce per celebrare l’imperfezione del gesto materno?). Lo stesso ingrediente, grazie al gesto, può diventare un‘altra cosa. In questo sono stati bravi i cuochi dei Paesi Baschi perché hanno interpretato e fatto propria la ritualità domestica che il cuoco più tecnico si vergogna di ripetere perché la ritiene troppo semplice”.
E poi c’è l’innegabile fortuna di stare al sud dove puoi declinare in tanti modi la stagionalità, il rapporto col mare e quello con l’orto, “l’importante è non perdere mai di vista il territorio. In Sicilia abbiamo anche la storia dalla nostra parte – dice lo chef di Licata – oltre a tante autenticità da promuovere e il cuoco con i suoi piatti sta alla fine di una filiera lunghissima e può fare entrare le persone all’interno di un cibo, di un ingrediente, del suo tempo e del suo luogo, interpretando un paesaggio. Per questo dico che chi ama il cibo ama l’arte”. Se non è fare cultura questo…