“Immagino la mia ricetta come un bouquet da comporre, come il profumo che vorrei. La visione è una ricerca continua tra luppoli e idee di sentori che sono già nella mente ma che devo trovare e raggiungere, finché non arrivo alla mia personale idea di birra”.
Visionario e appassionato, è il birraio Marco Gianino, produttore della birra Yblon a raccontarsi. Lo incontriamo nel nuovo stabilimento, dove da poco è stato trasferito l’impianto, in via Arturo di Natale 6 a Ragusa. I soci del birrificio Yblon sono cinque, ma è Marco ad occuparsi della produzione. La sua passione è nata circa 13 anni fa. “Nel 2007 ho fatto la mia prima birra a casa. Ma la verità è che tutto nasce dalla mia sete di conoscenza. Sono stato svezzato da Gianni Tumino, titolare del Lucernaio pub a Ragusa Ibla, il primo a portare in Sicilia la cultura birraia attingendo al mondo belga, al quale mi ispiro. La curiosità per la birra però c’era fin da piccolo. Alle elementari abbiamo fatto il vino, una volta le maestre coinvolgevano gli alunni in queste esperienze, e così ho conosciuto il processo della fermentazione. Sembrava semplice: spremi un frutto, fermenta e diventa bevanda alcolica. La birra è fermentata, ma da piccolo non mi spiegavo come si facesse a spremere l’orzo. E facevo tanto domande”. Questa curiosità in Marco c’è sempre stata ed è riemersa negli anni. Yblon nasce nel 2010, inizialmente come beer firm. Poi intraprende una strada indipendente, con un proprio stabilimento e una propria struttura produttiva. Sono già trascorsi 5 anni dalla prima etichetta. Oggi sono quattro in totale le birre prodotte, più due stagionali, in primavera-estate e una birra del periodo natalizio.
Marco ce le racconta. “La Timpa è l’etichetta di punta, ormai un brand forte. Prende il nome dalla pietra calcarea del paesaggio ragusano con la quale si costruiscono anche i muretti a secco. Lo stile è quello della Saison, birra di origine belga che nasceva negli ambienti rurali. Timpa è una birra molto secca perché i lieviti usati per le Saison hanno la capacità di consumare zuccheri molto complessi. Il profilo aromatico è dominato da una parte speziata che ricorda il pepe e il chiodo di garofano, ma con un fondo fruttato e leggermente agrumato”. “La Yblon Blond Ale è una birra semplice ma ha tanto da dire – prosegue – perché mette in equilibrio la parte speziata con una parte luppolata erbacea. Si mantiene all’interno dei 5 gradi alcolici. La paragono ad una pasta al pomodoro fatta bene. La Badesa è una dubbel, birra ambrata. Il colore è dato dallo zucchero candito bruno, un prodotto usato spesso in Belgio, con l’aggiunta di una piccola percentuale di grani torrefatti. Ha dei toni più rotondi, con note di frutta secca, prugna, uvetta”. Ed infine la Culovra, birra premiata da Cronache di Gusto nel 2017 nel corso dell’evento Taormina Gourmet. “Culovra è un esperimento particolare, parte dallo stile di una Tripel, birra chiara con una gradazione alcolica molto alta, ma che rimane beverina. La nostra è particolare perché nella Culovra, che di base ha un sentore di pera, viene aggiunto del malto affumicato”.
Quando parla delle sue birre, Marco si illumina. Ci racconta il processo di ricerca. “Di solito attingo molto dal mio background. La mia visione nasce da un mix tra ciò che ho bevuto nel tempo e mondi differenti, come quello della mixology. Ho fatto il bartender e ho giocato con gli infusi. A volte trovo sentori familiari in alcune varietà di luppolo. Immagino quei sentori combinati tra loro e li ricerco nei luppoli. Un po’ come comporre un bouquet personale. L’idea di partenza c’è ma poi ci si muove tra alcuni stili codificati. Per fare un esempio la birra stagionale Saia nasce come un tributo alle nostre origini medio orientali, ha un gusto esotico e raggruppa un mix di spezie come l’anice stellato, il cumino, che insieme al luppolo tirano fuori note che richiamano la macchia mediterranea, come il timo e la nepetella”. Il suo mondo affascina, ma per Marco la birra rimane un momento di relax durante la giornata, a volte personale altre da condividere. “Nasce come prodotto da bere mentre si fa altro, mentre si socializza. Non amo le forzature, i troppi ragionamenti intorno ad un prodotto e le troppe attenzioni, come si fa spesso davanti ad un vino di pregio”, afferma.
Yblon diventa sempre più, ad ogni modo, una piccola eccellenza tutta siciliana, anche se di ispirazione belga. I prodotti sono venduti in Sicilia, un mercato che assorbe tanto, poco nel resto di Italia. “I volumi non sono grossi – spiega Marco -. In relazione alla capacità produttiva del nostro impianto, possiamo puntare all’obiettivo di 500 ettolitri l’anno, ma oggi siamo arrivati a circa 200 e penso che a fine anno ci assesteremo sui 300. Attualmente produciamo circa 90 mila bottiglie l’anno da 33 cl, ma una parte di questa quantità va in fusto”. Ragusa resta un punto di riferimento territoriale. “In città, c’è una buona base culturale sulla birra, ma vorrei che il birrificio sia visto senza alcun confronto col mondo del vino. Non sono due mondi assimilabili. Per me un birrificio è più simile ad un caseificio artigianale; dietro c’è un lavoro di trasformazione di un prodotto accessibile in qualsiasi periodo dell’anno. E siamo ad un punto della filiera che non mette le mani sulla terra. Vino e birra sono prodotti totalmente diversi. Non bisogna fare paragoni”.
Tra i prossimi obiettivi Marco anticipa alcune sperimentazioni: “A livello produttivo stiamo esplorando le maturazioni in legno”. Poi le nuove mete da raggiungere. “Vogliamo crescere sul territorio. Abbiamo aperto un locale da un paio d’anni, La Brasseria a Ragusa, e ci piacerebbe aprirne altri. Il format è quello di un luogo in cui trovare carni e birra, naturalmente Yblon”. Ma un birraio così motivato è soddisfatto dei suoi prodotti che riscuotono successo? “Al cento per cento soddisfatto non lo sarò mai, c’è sempre da migliorare. Quando faccio una nuova ricetta, il terzo lotto è quello giusto. C’è sempre da aggiustare qualcosa. Ma oggi sono soddisfatto ad un buon 85 per cento. Penso tanto a nuove ricette, provo sempre, ma vorrei che la linea fosse semplice, con poche etichette. Il consumatore non va confuso. Può capitare di produrre qualche “one shot” ma sono prove temporanee”, conclude.
Francesca Landolina