“A Cetara c’è l’abitudine di bere Pastis per l’aperitivo. L’hanno portato i pescatori francesi e da allora è rimasta quest’usanza. Ma io, il mio, me lo faccio arrivare direttamente dalla Francia, deve essere come dico io”. E questa la dice lunga su come la pensa Pasquale Torrente, patron del ristorante Al Convento dove lì, a piazza San Francesco, nei chiostri di un convento decorato con affreschi del XVII secolo, il cibo o è buono come dice lui, o niente. E va da sé che sulla tavola del suo ristorante tutto deve essere come dice lui (e da oggi anche come dice suo figlio Gaetano), per cui anche al cliente, in questo caso, non può che andare bene. Cinquant’anni di storia alle spalle e una selezione tutta locale, perché le radici vanno ricordate: “Sono le radici che mi hanno fatto crescere quando sono andato fuori a lavorare. Sono stato fuori per non so più nemmeno quanti anni. Ho aperto uno, due, tre locali. Poi le radici mi hanno richiamato di nuovo, i miei affetti e soprattutto la mia nipotina, la voglio vedere crescere”. Oggi i 150 posti a sedere (un’ottantina nelle sale interne affrescate e una sessantina che affacciano nella piazza principale del borgo di Cetara) sono gestiti, in sala, da Pasquale che ha lasciato il suo regno, quello della cucina, a suo figlio Gaetano. La carta dei vini stupisce e non poco con una selezione italiana e straniera attenta, quanto mai accurata e soprattutto con un rincaro umano: “La volontà è far girare le etichette, condividere il vino. Se aumentassi i prezzi continuerei a vendere solo Fiano e Falanghina. E che senso avrebbe vedere tutte quelle altre bottiglie solo in bella vista”? Ad avercene di menti così aperte.
Il menu, invece, pare quasi scarno a confronto, con poche voci per un’interpretazione poliedrica di un’unica linea monocorde: le alici. Al naturale, alla scapece, marinate, fritte, con la provola, arrosto, alla piattella. Alici come se piovesse, in tutte le salse, alici come simbolo di un territorio. Tanta è stata, infatti, la resilienza e la convinzione dei cetaresi che le alici oggi sono presidio slow food (e dal 2020 anche prodotto a marchio Dop) portando così Cetara nel mondo. Quelle stesse alici che, poi, alla fine hanno riportato Pasquale Torrente dal mondo, di nuovo, a Cetara. Qui il concetto è che la tradizione della pesca viaggia di pari passo con quella della cucina. Non ci sono forme astruse di cottura, non ci sono nomi altisonanti nel menù, non c’è una spiegazione criptica del piatto quando arriva (che mentre stai per mangiare hai già dimenticato tutta la spiegazione). Qui ci sono, principalmente, le alici, interpretate in tutte le sue forme, e poi c’è Pasquale che, con tanta fermezza e convinzione, le porta a tavola senza troppe spiegazioni. Ogni portata, al massimo, richiede tre parole. Quelle giuste per non distrarre un cliente, quelle giuste per catturare la sua attenzione, quelle giuste, in linea generale, perché Pasquale sa che a parlare parla il piatto. “Ho i piedi nella tradizione, non ho le tecniche che hanno gli altri, ho l’umiltà di dirlo, magari oggi con mio figlio ci può essere un cambiamento. Le tecniche di un Bottura, Cuttaia o Cedroni non le ho. Sono un uomo da mestolo e non da pinzette”. Anzi ciò che viene da scrivere è che Pasquale sia “l’uomo che sussurra alle alici”, questo, infatti, il titolo del suo libro – edito da Catering – in uscita dal 2018. Oltre 140 pagine dense di vita personale, convinzioni, filosofie e credo di uno chef e del suo paese: Cetara.
Il cibo come linguaggio per raccontare, e tra una ricetta e un’altra, i ricordi dei suoi 4 amici al bar, tra le esperienze condivise con Massimo Bottura, le feste a Vico Equense con Gennarino Esposito, quelle con Moreno Cedroni, le risate con Pino Cuttaia. C’è qualcosa di incredibilmente poetico nel sapere che questi uomini, insieme, non hanno semplicemente condiviso attimi gli uni accanto agli altri, ma hanno costruito una strada. Vite che hanno fatto la storia gastronomica italiana, non uno da solo, ma tutti insieme. E così, forse, se la colatura di alici è diventata quello che è, il merito sarà anche di Massimo Bottura che ha sempre promosso questo borgo e i suoi prodotti. “Con Massimo ci vediamo poco però c’è un legame forte, un’empatia. A lui rubo la sua famosa frase sul parmigiano nelle vene tramutandola così: I miei muscoli sono fatti di alici salate e nel mio sangue scorre colatura di alici tradizionale di Cetara”. Perché a Cetara la colatura di alici pare, effettivamente, scorrere nelle vene di chi qui c’è nato: “E’ il mio Chanel numero 5. Si sente di mare, di reti bagnate, di amplesso femminile”. Così Pasquale Torrente la descrive.
E sarà stato proprio quel sentire che Pasquale trasmette coi suoi occhi, così piccoli e così profondi, che avrà fiutato anche Oscar Farinetti, un visionario che ci aveva visto lungo e bene con Pasquale Torrente. Ed infatti da quell’incontro fortuito e quanto mai fortunato ne è venuto fuori il grande progetto di Eataly e oggi Pasquale gestisce tre spazi nelle strutture di Roma, Dubai e Bologna. Un ultimo, recentissimo, approdo poi anche in Basilicata con la nuova apertura de Il Posticino di Potenza. Ma il punto è che la sua impresa più eccezionale è rimasta la semplicità. Di chi ti porta a tavola un menù così semplice, che semplicemente ti spiega, che semplicemente si mangia. La semplicità, quell’impresa eccezionale, che in molti stentano a raggiungere, da Pasquale Torrente del ristorante Al Convento di Cetara è, invece, il primo ingrediente.