di Francesca Landolina
“Mi definisco più un garagista che un viticoltore”.
Ironizza su sé stesso il giovanissimo Pierluca Beneventano della Corte, il vignaiolo che ha sentito il richiamo della propria terra d’origine e che ha iniziato a fare vino sull’Etna, con la complicità del padre Roberto, amministratore delegato dell’azienda Steinbruck e noto in Sicilia come il “signore dello champagne”. “Non ricordo con precisione il momento in cui ho preso la decisione di iniziare a cimentarmi con la viticoltura etnea e col mestiere del vignaiolo – racconta – Avevo terminato gli studi e una laurea in marketing di impresa, per continuare l’attività imprenditoriale di mio padre. Ed è chiaro che il mondo del vino mi appartenesse già. Avevo fatto esperienza in Champagne e ero diventato un selezionatore. Poi però, forse per destino, mio padre mi disse di avere visto una bella vigna sull’Etna, sul versante sud-est. E con la naturalezza di chi segue la propria strada, andai a vederla. Da quel momento tutto ebbe inizio. Non conoscevo la tradizione agricola etnea. Per me la viticoltura si riassumeva in sistemi di allevamento a cordone e guyot su filari. Nella vigna etnea c’erano vecchi alberelli e mentre li guardavo, mi chiedevo come avrei dovuto gestirli; poi ho capito che erano il valore aggiunto. E mi sono innamorato della biodiversità del vigneto”.
Pierluca comincia la sua esperienza in Sicilia, continuando a fare la spola tra Milano e l’Etna, ma è la vigna a diventare la sua seconda casa. La prima vendemmia è nel 2015. I vigneti, 4 ettari in totale, si trovano a Viagrande in località Salto del Corvo-San Giovannello a 650 metri sul livello del mare e a 800 metri di altitudine a Trecastagni in contrada Carpene. Vigneti vecchi e in stato di abbandono ma recuperati per la coltivazione di uve autoctone con interventi minimi e poco invasivi. “Quando ho cominciato, non sapevo cosa stessi per diventare, da Milano e dalla vita del commercio a quella della vigna cambia tutto – continua a raccontare – Pensavo, inizialmente, che avrei gestito il tutto da lontano, oggi invece passo 15 giorni a Milano e 15 in Sicilia. E in periodo di vendemmia sono sempre vicino alle mie uve”. Nel 2015 si cimenta con la sua prima vendemmia di Etna Rosso, nel 2016 nasce la società agricola, Barone Beneventano e il primo Etna Bianco. Il 2018 è l’anno del rosato, nato un po’ per caso, in seguito ad un’annata piovosa. Ma l’appellativo di “garagista”, con cui Pierluca ama definirsi in tono scherzoso, nasce dal “suo” vino, Nubivago, che significa “colui che naviga tra sogni e idee”. Nubivago è il vino dallo spirito libero, che più lo rappresenta, ed è nato dalla tecnica della crioestrazione selettiva. Un blend di uve Carricante, Catarratto, Moscatella dell’Etna e due varietà ancora sconosciute e non identificate.
“Quando ho avuto l’idea di produrre Nubivago con la crioestrazione, le reazioni sono state di “stranezza”, ma niente mi ha fermato ed è così che sono diventato garagista, perché era difficile essere ospitato da una cantina per una produzione di circa 50 bottiglie e una quantità di 80 chilogrammi di uva; così ho sfruttato una casetta sul vigneto e una casetta di mio padre per dare vita al mio vino che produco come vino da tavola perché sarebbe complicato chiedere la Doc”. Nubivago è ancora in fase di sperimentazione ma le 100 bottiglie sono andate quasi tutte a ruba. La tecnica con cui nasce, la “crioestrazione selettiva” è una pratica enologica che, grazie a un’opportuna applicazione della tecnologia del freddo, consente di evitare l’azione ossidativa e produrre dei vini bianchi più profumati, longevi e dalla marcata acidità. “Nel 2020 l’ho replicato – spiega – Purtroppo, mi hanno rubato i tini, ma, per fortuna, hanno lasciato il vino. Inizialmente ero furioso poi, dopo qualche giorno, ho pensato che l’annata 2020 l’avrei chiamata Rubivago. Continuo a sperimentare diverse temperature e ho comprato un nuovo torchio pressa. Ma continuo a farlo in quella casetta-garage dove è nato. Con lo stesso metodo nascerà il vino Fenice, da varietà a bacca rossa, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Iachis, che è una varietà reliquia. Quest’ultimo ha finito la malolattica e se non farà un passaggio in legno lo imbottiglierò a giugno, viceversa tra un anno”. Ascoltandolo è chiaro che Pierluca non ferma la sua curiosità e la voglia di sperimentare, mentre i suoi vini prodotti, circa 5.000 bottiglie, non hanno difficoltà a trovare un mercato, anche grazie ai canali di distribuzione consolidati dall’azienda di famiglia. I prodotti si trovano in Italia ma hanno già intrapreso la via internazionale, approdando in Nord Europa, in Danimarca, in Canada, in Giappone e negli Stati Uniti grazie al premio ottenuto con il concorso Sud Top Wine di Cronache di Gusto in collaborazione con Colangelo & Partners. Nubivago però ne resta fuori. “Ho pochissime bottiglie – afferma – e non le vendo a buon cuore al momento. Rubivago 2020 sarà prodotto in 130 bottiglie da 75 centilitri. Lo definirei più un vino da meditazione. Alla nuova annata sto ancora lavorando ma se buono, uscirà. E penso che sarà così”. Il prezzo? “50 euro franco cantina – afferma – ma vale di più per quanto costa farlo. È un vino speciale”.
Cos’è l’Etna per lui? “L’Etna è molto di più di quel che si può immaginare – spiega – Non esistono solo Carricante, Catarrato, Nerello Mascalese e Cappuccio. Ho avviato un campo sperimentale con vitigni reliquie, di cui si è iniziato a parlare anche grazie agli studi sperimentali dell’Università di Catania. Personalmente, ho 50 metri quadri o poco di più di vigneto sperimentale. Circa 10 varietà per 10 piante (a bacca nera: zinneuro, barbarossa, terribile, moscatella nera, iachis, madama nera; a bacca bianca: madama bianca, bianchetta, virdisi, vispara, moscatellone, moscatella dell’Etna). Il progetto reliquie, tuttavia, non è da attuare presto e penso che si dovrà studiare a lungo. Io vinificherò singolarmente, in un primo momento. Sarebbe bello condividere e cooperare. Abbiamo tante possibilità di variare tra contrade, versanti, esposizioni, suoli e immaginatevi se aggiungiamo uvaggi e vinificazioni”. Poi aggiunge: “L’importante è comunicare il vero. Il patrimonio dei vitigni reliquia è prezioso ma non usiamoli come leve di marketing per vendere di tutto. Sono nato come selezionatore e sono ipercritico, mi sento truffato, quando non riscontro verità in ciò che mi dicono di bere”. E sul futuro conclude: “Spero che si riesca a valorizzare le diversità, senza approdare nel marketing spicciolo. Tra i piccoli dell’Etna, e anche dentro la Doc, c’è un lavoro prezioso e stiamo lavorando bene. Spero che l’Etna diventi una zona vinicola virtuosa che dia ricchezza a tutto l’indotto”. Non mancano infine i suoi personali progetti: c’è un possibile nuovo acquisto in vista che potrebbe portare a 5 gli ettari vitati, sempre nello stesso versante del vulcano, c’è la voglia di arrivare a circa 10 mila bottiglie, c’è il progetto di costruzione della cantina a Carperne e un casale da ristrutturare per l’enoturismo. “I sogni sono tanti e non facili da realizzare, c’è anche tanto da imparare, ma ho un grande vantaggio, sono umile e mi apro, ascolto tutto e seleziono. Del resto, l‘ho sempre fatto: è un vezzo di famiglia”, conclude il ‘garagista’ dell’Etna.