Segue le sorti di Cantina Due Palme e di altri piccoli produttori pugliesi. “Mi lascio guidare da attitudine e ispirazione. La mia rete di contatti é la mia forza e il mio lavoro è sartoriale”
(Monica Caradonna)
Per lei la comunicazione è soprattutto un lavoro sartoriale fatto di attitudine e ispirazione. Chi la conosce la definisce spumeggiante (come le bollicine che ama) molto social, empatica e molto cocciuta. E forse la determinazione le è servita per superare momenti poco facili e per convivere con varie forme allergiche su cui si diverte a fare autoironia.
È l'identikit di Monica Caradonna, 40 anni, pugliese, donna del vino e non solo. Continua con lei la sequenza di interviste ai protagonisti della comunicazione, galleria di personaggi cominciata con Alessia Rizzetto (leggi qui).
Chi è Monica Caradonna?
“Sono logorroica, amo la musica e la mia vita è un teatro a cuore aperto. Sin da ragazzina sognavo di diventare giornalista, ma ho studiato Scienze Ambientali, seguendo quelle che erano le aspettative dei miei genitori. Ho deciso però di fare altro. Così per 11 anni mi sono occupata di uffici stampa istituzionali dividendomi tra Taranto, Bari e Roma. Ho diretto un settimanale e ho fatto Tv. Poi mi sono ammalata. Ho fatto un salto all’inferno, ma sono tornata e, da allora, è iniziata la mia avventura nelle pr e nella comunicazione del Food & Beverage. Il paradosso? Sono una pluriallergica cronica, tra cui al nichel. Sono l’incubo degli chef, ma passo le mie giornate tra ristoranti e cantine e racconto le mie storie sul mio blog annichelitamafiga.com“.
Il primo lavoro?
“Ho iniziato a scrivere per Campus Web, il mensile universitario del gruppo Class editori. Il primo contratto e la prima vera sfida è arrivata quando sono stata chiamata nell’ufficio stampa del comune di Taranto. Ero il portavoce del sindaco, una donna tostissima. È stata una vera palestra. Iniziavo a lavorare al mattino alle 7,30 e non sapevo mai a che ora avrei finito. Non ho fatto vacanze per sei anni, ma lo rifarei con lo stesso entusiasmo”.
E adesso?
“Ho un pacchetto clienti molto variegato perché sono sempre alla ricerca di stimoli nuovi che mettano in moto la creatività. Seguo diverse aziende vinicole (tra cui Cantina Due Palme, ndr), ho la fortuna di poter scegliere gli incarichi e i clienti. È importante che mi piaccia il progetto e che ci sia empatia con il cliente. Per me è fondamentale creare relazioni forti con le persone con cui lavoro; devo entrare nella loro testa e creare totale sintonia tra le menti. Mi nutro dell’energia degli altri. L’incarico più divertente di questo 2016 è stato indubbiamente l’ufficio stampa del Carnevale di Putignano. Io, che odio le feste in maschera, mi sono misurata con una realtà antichissima e dall’alto valore sociale e culturale”.
Cosa è per lei la comunicazione?
“A parte le definizioni da manuale, ritengo che la comunicazione in senso lato sia un abito che si è in grado di indossare oppure no. Si può imparare tutto sui libri universitari, ma essere interprete di un modo di comunicare è quasi un’attitudine, un’ispirazione. Certo, è uno strumento fondamentale oggi e bisogna sempre far attenzione a non farsi travolgere”.
Qual è la sua strategia di base? Uguale per tutti o cambia in base a qualcosa?
“Non può esserci uno standard nell’affrontare le esigenze di un cliente. Mi spiego. Ogni azione deve essere studiata su misura. Un po’ come una sarta. Si studia, si valuta l’obiettivo che il cliente deve avere ben chiaro in testa, poi in base a dove si vuole arrivare e partendo dall’anima e dall’essenza dell’azienda si costruiscono i percorsi. Bisogna essere consapevoli della base di partenza per capire cosa sia possibile fare e con chi. La mia forza è il mio network e quello che riesco a sviluppare. Per me è fondamentale attivare reti e relazioni, spesso anche tra i miei clienti stessi che vivono inconsciamente il valore aggiunto di far parte della mia squadra, ma c’è sempre l’onestà intellettuale di conoscere i limiti e i punti di forza di ciascuno”.
Cosa chiede un cliente? Articoli sui giornali o visibilità sui social?
“Beh, io sono una giornalista, certo non possono chiedermi di dipingere un quadro. Il cliente a volte chiede anche di essere solo ascoltato ed è dal confronto, magari davanti a un bicchiere di vino o su una panchina davanti al mare, che vengono fuori idee e strategie. Poi, ogni successo raggiunto insieme è una gioia immensa anche per me”.
Quanto sono importanti i social?
“Importantissimi. In Italia siamo ancora tutti pazzi per Facebook. All’estero sono più orientati su Instagram e su Twitter. Io ho un rapporto molto ironico con Facebook. Lo uso per raccontarmi. Difficile che vada a spiare altra gente, non mi interessa farlo. Amo molto LinkedIn e le opportunità che ti consente di avere. Una volta, grazie a questo social più professionale, sono riuscita ad intervistare il direttore del porto di Rotterdam”.
Lavorare nel Sud Italia è una opportunità o un ostacolo?
“Ci penso spesso e credo che ci siano delle realtà in cui tante relazioni sarebbero molto più semplici. Partendo da qui bisogna faticare un po’ di più”.
L’avvento del digitale e dei social stanno decretando la fine del giornalismo?
“Stiamo vivendo una deriva pericolosissima. Io ho dovuto superare un esame di stato per diventare giornalista. E se sbagliavo l’attacco di un pezzo c’era qualcuno che me lo faceva notare. Oggi c’è una totale anarchia nell’informazione. Ci sono più blogger che giornalisti, poi ci sono quelli che ti chiedono i cartoni di vino o gli accrediti gratis per qualunque evento. È un po’ svilente, ma bisogna osservare le evoluzioni e saperle governare”.
Ma non c’è il rischio che le troppe informazioni tendano a banalizzare tutto?
“Bisognerebbe avere il tempo per leggere e conoscere. Così avremmo la possibilità di creare la nostra visione personale. Purtroppo il tempo manca e allora bisogna selezionare alla base i prodotti con cui volersi confrontare fondando la scelta sull’autorevolezza del prodotto”.
È più importante la pubblicazione di un articolo su un giornale o mille mi piace su un post?
“Servono entrambi. Dipende dal target di utente che si vuole colpire”.
Per il settore che segue chi sono i giornalisti e i giornali di riferimento?
“Li leggo più o meno tutti per dovere. Amo leggere di enogastronomia in genere. Mi piace chi è anticonformista e non necessariamente intruppato. Adoro chi scrive in italiano. Purtroppo non è scontato. Mia madre è un’insegnante di italiano nelle scuole superiori e vivo, da sempre, con dispiacere la violenza che molte penne infliggono alla lingua italiana e alle regole base del giornalismo”.
Fa anche le rassegne stampa?
“Lo faccio grazie al supporto di un’agenzia che ogni giorno mi seleziona una serie di articoli in base alle parole chiave”.
I suoi hobby?
“Ora ne ho un po’ meno perché mi dedico molto meno tempo. C’è stato un tempo in cui cucinavo tanto e preparavo conserve. Oggi faccio shopping e mi regalo pomeriggi nelle spa”.
Ultimo libro letto?
“Sto leggendo tutto quello che ha scritto Diego De Silva. Ho iniziato con 'Mancarsi' e ora ho vicino al letto 'Terapia di coppia per amanti'”.
Ultimo film visto al cinema?
“Detesto andare al cinema. Rischio di litigare con tutti quelli che durante la visione del film hanno bisogno di mangiare, sgranocchiare, commentare il film, guardare cosa succede sul loro telefonino accecandoti gli occhi. Al cinema preferisco di gran lunga il mio Mac a letto. Sono una divoratrice di serie tv e in questo periodo sono innamorata di Suits, la serie con l’avvocato Harvey Specter. L’ultimo film che ho visto, sempre in modalità “spalmata sul letto”, è The danish girl, ma se devo sognare un po’ rivedo con piacere Her, molto attuale e drammatico che parla delle nuove solitudini, oppure quelli ispirati ai libri di Isabelle Allende”.
La città preferita?
“Amo New York e Milano. Lì mi sento molto a casa. Quando però ho bisogno di rigenerarmi, vado a Cisternino, all’Ashram, dove riesco a entrare in contatto con la natura e ricarico anima e pensiero”.
F.C.