Tra la provincia di Agrigento e quella di Caltanissetta, separate dal fiume Platani, l’agrigentino Giuseppe Cipolla produce i suoi vini. Tutto ha inizio nel 2014 in contrada Passofonduto: “Questi appezzamenti appartenevano a mio nonno e mio padre ci costruì una piccola casa di villeggiatura. E’ un luogo dove sono nato e cresciuto ed al quale sono molto legato”, racconta Giuseppe. Si tratta di una zona molto interessante soprattutto dal punto di vista geologico, poiché i terreni sono in un’aerea appartenente alla “serie gessosa solfifera” che si estende da Lercara Friddi sino al mare, comprendendo anche la famosissima Scala dei Turchi, composta da marna bianca. Altre zone a base di gesso-solfito, in Italia, si trovano in Emilia Romagna e in una fascia del Barolo (Piemonte). Si tratta, dunque, di terreni a matrice argillosa-calcarea con un’elevata presenza di gesso.
Andando verso sud il suolo muta e si presenta ricco di arenaria e quindi tufo: “Quella parte rappresenta maggiormente l’agrigentino con la sua Valle dei Templi ed i templi stessi – continua Giuseppe – Anche lì sono presenti alcuni dei miei vigneti”. L’azienda ha sede a Passofonduto, alcuni appezzamenti sono collocati in contrada Torre del Salto d’Angiò, dove si trovano vecchi tendoni e spalliere allevate a guyot dai quali vendemmia parte delle uve per la produzione del bianco, ed una piccola parte di uve rosse. E ancora, nel comune di Aragona è presente un altro piccolo appezzamento di Nero d’Avola, con viti allevate sempre a guyot, ma che affondano le loro radici nei Trubi, ovvero la marna bianca. L’estensione totale di proprietà di Giuseppe è di 18 ettari, di cui un buon 60% è già vitato, “ma nel giro di tre/quattro anni spero di completare il lavoro d’impianto”. Nove anni fa inizia a prendere vita il progetto, o come predilige definirlo il vignaiolo agrigentino, questo sogno. “Preferisco chiamarlo sogno perché un progetto prevede un’organizzazione meticolosa e magari un business plan; io mi sono lasciato guidare dall’istinto e ho deciso di lasciare il mio lavoro per dedicarmi alla terra“. Per ben vent’anni, infatti, Giuseppe ha ricoperto il ruolo di assistente notarile. “Non mi sentivo più appagato da ciò che facevo. Avevo bisogno di un cambiamento e di mettermi nuovamente in gioco. Ho creduto fin da subito in questo territorio e specialmente nell’elegante espressione che i nostri vitigni autoctoni manifestano qui”.
A Passofonduto pianta le sue prime barbatelle e sceglie come metodo di allevamento l’alberello. “Ritengo che l’alberello sia l’allevamento più adatto per esprimere al meglio il suolo, la varietà e per consentire alle viti di vivere bene in questi luoghi più complicati, soprattutto dal punto di vista pedoclimatico”. I vigneti sono esposti a nord-ovest e l’area è caratterizzata da forti escursioni termiche. Il vigneto più basso si trova a 180 metri sul livello del mare, mentre l’altitudine del più alto si attesta sui 300 metri sul livello del mare. In vigna gli interventi sono ridotti al minimo, con l’utilizzo di soli rame e zolfo. I sovesci vengono regolarmente praticati. Tra le varietà piantate da Giuseppe troviamo Nero d’Avola, Nerello Mascalese, Catarratto, Moscato d’Alessandria, Inzolia e Grillo. Come già accennato, Giuseppe non proviene da una scuola enologica ed i suoi vini sono il risultato di un’ottima conoscenza tecnica mista ad una buona dose d’intuito, oltre che di sperimentazioni su microvinificazioni. Le bottiglie prodotte nel 2022 erano circa 13.000 divise su 6 etichette; quest’anno però Giuseppe prevede di aumentare la produzione a 20.000 bottiglie, riducendo il numero delle etichette a quattro: Solfare (bianco), Occhio di Sale (rosato) Le Robbe (rosso) e Passofonduto (rosso). Il lavoro in cantina è coerente con quello vinicolo. Le fermentazioni avvengono ad opera di lieviti indigeni ed i materiali dei contenitori usati per l’affinamento sono acciaio e legno. L’utilizzo di una piccola quantità di anidride solforosa è limitato alla necessità. Le macerazioni, invece, sono piuttosto brevi, ma certamente dipende dall’annata; in generale un giorno per il bianco e due/tre giorni per il rosso.
“Ciò che ho compreso nell’arco di questi anni è che i miei vini necessitano di respirare, per questa ragione ho optato per il legno, un materiale naturale. Grazie all’aiuto del mio distributore in Italia, sono riuscito a mettermi in contatto con un mastro bottaio di Bordeaux con il quale abbiamo creato le botti ideali per gli affinamenti. Una cosa fondamentale è la giusta tostatura. Utilizzo l’acciaio, per me il materiale tecnico migliore in assoluto, soprattutto in fase di assemblaggio e per l’affinamento del rosato”.
L’obiettivo di Giuseppe è quello di onorare questo territorio con vini eleganti che rispecchino soprattutto i diversi terroir, ma che al contempo ricordino quelli prodotti per diletto dai contadini di una volta. Grazie al perfetto connubio di altitudini, escursioni termiche e differenti suoli, i vini risultano potenti e fragranti, con un’ottima spalla acida che li rende freschi e ritempranti.