“Andare per andare” cantava la Premiata Forneria Marconi nel 1997. Varrebbe, oggi, anche per il Casadonna Reale. Un silenzioso monastero del ‘500 che, dalle alture di un piccolo promontorio abruzzese, si staglia sull’intero paesino di Castel di Sangro, e oggi luogo di accoglienza e sede del ristorante Reale dello chef Niko Romito, tre stelle Michelin. Una rassicurante e minimalista struttura, dove il rito del pasto si consuma come un’esperienza. Così è nella nuova proposta totalmente vegetale nella quale ci si sazia – in un percorso immersivo di quattordici portate – stimolati da una continua messa in prova dei sensi. Difficile il gioco di abbinamenti al vino in questo misunderstanding di sapori. A Gianni Sinesi – head sommelier dal 2004 – l’onere di tentarlo: “Quest’anno amo definire i miei abbinamenti per amplificazione: cibo e vino si esaltano l’uno con l’altro in una sottile linea gustativa fatta di elementi opposti ed armonie”.
Linea che sovverte anche la consueta gerarchia dei gradi alcolici. “In ogni nuovo pairing esploro confini inediti, spaziando dal mondo dei vini per arrivare a quello dei miscelati”. Così si parte da un amaro alle erbe, passando per un bianco di 12 gradi, mentre al palato si concedono intervalli tra cocktail e vini fortificati. Quello che solo all’apparenza, quindi, sembra non trovare una rete di rassicurazioni, si mostra, invece, come “un dialogo unico, al di là dei canoni classici” che porta con sé anche la volontà di abbattere i luoghi comuni: “vegetale non vuol dire niente più Barolo o Montepulciano. I vini in abbinamento cambiano ogni giorno. Abbiamo una cantina immensa ed è giusto spaziare”. E parlando proprio degli spazi, sono oltre diecimila le bottiglie selezionate da Sinesi. “L’obiettivo è dare profondità alla cantina, ricercando vini che esaltino la cucina di Niko Romito”.
La sua è una carta vini che dibatte con il futuro e demolisce l’ossessione per le attuali classificazioni del vino: “Non ho mai seguito le mode. Il Reale ha una selezione omogenea. A me non importa a quale categoria appartenga il vino. Se è buono e se il produttore ha lavorato con rispetto del territorio, ha senso per me inserirlo in carta”. Eppure il favoritismo verso i vini naturali, spinge il commensale quasi a rifiutare una proposta troppo convenzionale. “L’obiettivo è sempre soddisfare il cliente. Se però mi viene chiesto un percorso totalmente naturale diventa difficile per la gestione degli abbinamenti. A quel punto la scelta migliore è sempre la singola bottiglia. Fortunatamente, comunque, l’abbinamento non gradito capita raramente. Il 90% degli ospiti si affida al percorso al calice. Ed è una clientela sempre più preparata”.
Sintomo che allora, la cultura del vino sta migliorando molto: “Internet e i social hanno avuto un ruolo importante, anche se al tempo stesso tendono a danneggiare ciò che è imprescindibile: il dialogo. Vedo molti clienti che preferiscono chiedere consiglio alle app dedicate, piuttosto che al sommelier. Questo non vuol dire che questi strumenti diano informazioni sbagliate, ma dal dialogo diretto possono nascere interazioni molto più interessanti”. Sinesi ha avuto grandi mentori nel suo percorso, iniziato quando aveva appena dieci anni nel ristorante di famiglia: “E’ stato Maurizio Menichetti (ristorante Caino) che mi ha acceso la scintilla”. E degli uomini che hanno continuato ad alimentarla, Sinesi guarda al passato: “Penso a Henry Jayer e ai suoi vini che viaggiano nel tempo”, passando per i vini-mito di Soldera e a quelli di Gambelli “l’enologo che ha creato il Sangiovese, dal Brunello Poggio di Sotto al Montevertine”. Fuori dalle mura del Casadonna Reale, potreste incappare in lui, proprio da Caino, suo ristorante del cuore, ma “sono molto legato anche alla Taverna del porto, di Tricase. E poi, torno spesso, in provincia di Brescia, all’Osteria Porto d’Oglio di Paolo Tarletti. Amo i posti con una cucina schietta, ma dove puoi avere anche la possibilità di bere una grande bottiglia di vino. O anche due…”.