di Ambra Cusimano
Gabriele Rizzo, classe ’90, è un giovanissimo chef italiano con la passione per la cucina che scorre nelle vene.
Figlio di ristoratori, ha vissuto a contatto con questo mondo già dalla tenera età e col tempo sviluppa una certa curiosità nei confronti di questa arte. Gli zii, anche loro ristoratori, possedevano dei ristoranti in Germania e Gabriele si è spesso ritrovato a dare supporto, durante le vacanze estive, sia ai genitori che ai parenti. Completati gli studi presso il liceo classico Meli di Palermo, si iscrive all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, una scelta che ha cambiato radicalmente la sua vita come afferma lo stesso Gabriele. “Questa università mi ha permesso di vedere il mondo dell’enogastronomia sotto svariati punti di vista dal momento che si approfondivano materie legate alla storia del cibo, come a quella del vino, all’economia ed alla filosofia del gusto. E’ stata un’esperienza completa a 360° che mi ha permesso di guardare a questo mondo con orizzonti più ampi ed estesi. Inoltre, durante il percorso di studi era concesso di lavorare ogni anno in giro per il mondo col fine di approfondire la cultura e le abitudini enogastronomiche degli altri paesi”.
Una volta laureato Gabriele si trasferisce in Spagna dove resta per un anno e lavora al fianco degli chef catalani Sergi de Meià e Oriol Rovira. In quel periodo cresceva la fama della cucina nordica e del ristorante Noma, oggi visto come locomotiva per aver dato una visione diversa delle materie prime dei paesi scandinavi. La curiosità per questa cucina spinge Gabriele a trasferirsi a Copenhagen nel 2012 dove rimane per due anni facendo sempre esperienza al fianco di grandi chef ed imparando nuove tecniche. Motivi familiari costringono il giovane a rientrare a Palermo, sua città natale, e trova lavoro prima presso il ristorante Bye Bye Blues ed in seguito al Cuveè du Jour del Grand Hotel Villa Igea. Nonostante queste esperienze in Sicilia, Gabriele non è pronto a mettere radici e così dalla Trinacria si trasferisce a San Francisco, in California, e lì trova lavoro in due ristoranti stellati: al ristorante Coi con Daniel Patterson and Matthew Kirkley e più tardi al ristorante Benu sotto la supervisione dello chef Corey Lee. Nel 2017 scade il visto che consente di lavorare negli Stati Uniti e Gabriele ritorna a Palermo. Nel capoluogo inaugura un home restaurant per accontentare gli amici desiderosi di provare i suoi piatti e che in più occasioni avevano sollecitato l’amico chef. Le cene private hanno molto successo, ma nonostante tutto la Sicilia non soddisfa pienamente le aspettative di Gabriele che alla fine dello stesso anno ritorna in pianta stabile a Copenaghen.
Continua a lavorare come chef in alcuni ristoranti della città e durante il lockdown si presenta la possibilità di aprire il suo primo ristorante con un concept diverso ed interessante. Infatti Haidan, il nome che Gabriele ha scelto per la sua attività, si trova all’interno di un vecchio deposito di spezie sito sul canale d’entrata del porto di Copenaghen ed insieme ad altri sei ristoranti condividono la medesima dining room. “Ho scelto il nome Haidan perché in cinese vuol dire riccio ed il mio cognome pronunciato in siciliano ha esattamente lo stesso significato. Il ristorante è in pieno centro, a pochi passi dal Palazzo di Amalienborg, e la struttura era un ex magazzino dove venivano conservate le spezie. Molti edifici storici sul canale sono divenuti la sede di nuove attività. Persino il vecchio Noma una volta si trovava all’interno di un antico deposito di sale. Il tipo di cucina invece è essenzialmente concentrata sul prodotto ittico, dal momento che nella penisola scandinava l’offerta di pesce è ampia e di altissima qualità”. Il pesce nordico è quindi il protagonista, ma vi sono chiare influenze asiatiche, nello specifico cinesi, con tecniche, tipi di cottura ed ingredienti propri di quella zona del mondo che caratterizzano i piatti. “Ho lavorato presso diversi ristoranti di influenza asiatica e sono sempre stato affascinato da questa cucina perché la ritengo una delle più complete al mondo. Attualmente il menù di Haidan è composto da nove piatti che diventeranno tredici in inverno”.
Haidan si è rivelato un esperimento ben riuscito che dà la possibilità allo chef ed al suo team di sperimentare nuove ed originali pietanze da proporre ai suoi clienti. Ma non è tutto, questo successo ha dato una spinta propulsiva al giovane palermitano che è in procinto di aprire un secondo ristorante nella capitale danese. “Si tratterà di un ristorante a tutti gli effetti e speriamo di lanciare il nuovo progetto entro la metà del 2022”. I danesi sembrano apprezzare questa cucina e oggi Copenhagen è considerata una capitale mondiale della gastronomia. Chi visita la città lo fa anche con l’intento di provare i ristoranti presenti in loco; il turismo gastronomico si è fatto quindi strada in questo paese e gli stessi abitanti sono stati spinti ad affinare il loro palato e ad essere sempre più curiosi nei confronti delle nuove offerte culinarie. Il successo della cucina nordica e dei suoi ingredienti ha fatto sì che oggi in tutto il mondo alcune di queste materie prime, che fino a vent’anni fa non erano sufficientemente conosciute o apprezzate, siano oggi facilmente reperibili in qualsiasi supermercato. Per quanto riguarda la scelta dei vini da proporre, i sette ristoratori hanno deciso di optare per una carta di ampio respiro che soddisfi gli abbinamenti di tutte e sette le diverse cucine. La carta è composta da vini e bollicine francesi, rossi e bianchi provenienti dalla zone vitivinicole più importanti del mondo ma anche da vini naturali.
Gabriele sa esattamente cosa ricerca negli ingredienti che compongono i suoi piatti: devono essere di altissima qualità. Lo chef non bada a spese quando deve acquistare un prodotto e per quanto sia importante la provenienza, è più rilevante sapere chi e come produce. L’ambizione di Gabriele è palpabile e alla domanda “punti alla stella?” la sua risposta è stata: “Non alla stella, ma a tutte e tre le stelle. Questo è sempre stato il mio sogno. Quando ho intrapreso questo percorso non l’ho fatto per soldi, io l’ho scelto. Questo è un lavoro per il quale ogni singolo dettaglio fa la differenza e ci vuole grande passione e tanto sacrificio per raggiungere determinati livelli”.