L’amore per l’Etna, l’infanzia tra i sapori e i nomi dei grandi: Gaja, Soldera, Maule…
Frank Cornelissen (nella foto), il belga siciliano d’adozione, da quasi dodici anni produttore di vino sull’Etna dell’omonima azienda che oggi conta 25 mila bottiglie, ci racconta com’è nata la sua passione per questo mondo.
Dalla sua prima cantina all’età di quattordici anni, alla conoscenza di vini importanti come Domaine de la Romanée- Conti. Una vita vissuta a contatto con vini e cibi provenienti da ogni parte. Tutto grazie alla passione e alla dedizione dei suoi genitori. “Gastronomi nati” li definisce. Lei direttrice di una scuola alberghiera e lui pilota di caccia, sin da bambino lo hanno portato in giro per il mondo a conoscere culture diverse.
Frank, come è iniziata la sua passione per il vino?
“Intanto pur essendo nato nel Paese della birra, a casa mia si è sempre bevuto vino. Questo grazie alla passione dei miei genitori, soprattutto di mio padre, che mi ha trasmesso una grande curiosità verso il mondo del cibo e del vino. E ci è riuscito talmente bene, che all’età di quattordici anni, già avevo la mia piccola cantina, proprio accanto alla sua, era una cassa mista del Domaine de la Romanée –Conti. Erano gli anni ’70, anni di crisi, e allora era possibile acquistare vini come lo Chateau Petrus, Chateau d’Yquem o Romanée Conti a prezzi oggi inimmaginabili. Non dico che sia nato tutto lì, ma quasi. Con gli anni ho continuato a comprare vini, ad assaggiare e all’età di 17 anni partecipavo alle aste con mio padre”.
Come mai è finito sull'Etna?
“Alla fine di una selezione naturale. Ho semplicemente eliminato tutti i posti che non mi piacevano. Infatti non sono venuto per la Sicilia, sono venuto per l'Etna. Ho comunque viaggiato molto, sono stato in Georgia, nel Caucaso, per conoscere da vicino la culla del vino. Perché se si vuole imparare a fare qualcosa, è essenziale andare nel posto in cui nasce. Capisci meglio il come il perché e tutto l'intorno di quel processo. Poi bisogna considerare dei punti cardine per fare un vino ovvero la geologia, l'intensità di luce e un buon mezzo, un veicolo, nel nostro caso il Nerello Mascalese. E poi soprattutto la cultura, senza di essa il vino non esiste o meglio esiste come prodotto alimentare, non come espressione culturale”.
E se dovesse fare un suo bilancio, dopo quasi dodici anni sull'Etna, cosa direbbe?
“Quando sono arrivato qui, ho trovato un territorio meraviglioso. Era il 2000, la mia prima annata di produzione è stata il 2001. Quasi nessuno imbottigliava sull'Etna e nessuno capiva le potenzialità di questa terra. Arrivando qui ho trovato tutti gli ingredienti per fare un buon vino, di carattere, di personalità che vale la pena di produrre in purezza invece di tagliarlo con qualcos'altro per ottenere un vino da negociant. Secondo me questo è uno dei pochi posti al mondo in cui si possono fare grandi vini. Per fare questo è necessario capire il territorio, e individuare il veicolo che possa comunicarlo al meglio, come dicevo. La mia è una ricerca per fare sempre una produzione migliore, e devo dire che dopo quasi dodici anni ci sono vicino. E dico quasi perché raramente sono contento dei miei vini, tendo sempre ad ottenere il massimo.
Il mio bilancio? I primi dieci anni li considero come un’evoluzione personale. Sono arrivato qui avendo solo un approccio teorico anche se non molto lontano dalla realtà. C’è voluto un po’ di tempo per metabolizzare, per capire. I prossimi dieci anni saranno invece di stabilizzazione per l'azienda, di tutto ciò che è stato creato prima. Il mio desiderio, oltre a quello di definire i dettagli riguardanti la produzione e la qualità nei processi di vinificazione, è quello di fare grandi vini. E so che ci vorrà del tempo, ma la mia determinazione mi permetterà di raggiungere questo risultato e di trasmettere tutto ciò che ho fatto ai miei figli”.
Oggi si parla tanto di Etna. E’ solo una moda?
“Non faccio molto caso a ciò che si dice in giro. Secondo me non si tratta di una moda, piuttosto, e voglio sottolinearlo ancora una volta, di un territorio straordinario che può e deve dare tanto. Sta a noi produttori cercare di fare del nostro meglio per valorizzarlo attraverso la produzione di vino. Gli ingredienti ci sono, sta a noi fare il resto. Ci sono grandi vini, c’è grande stoffa, ed una personalità del vino che può essere più o meno di gradimento, ma c’è. E non mi riferisco solo ai miei prodotti. La personalità è una caratteristica imprescindibile per il futuro del vino. Non c'è bisogno di inventarsi qualcosa di nuovo perché questa terra ha già tutto”.
I suoi vini non conoscono crisi. Qual è il segreto?
“Tutti i vini conoscono crisi. Forse il mio vantaggio o il mio segreto, se così si può chiamare è stato quello di cominciare “facendo del vino” e non stabilendo un “business plan”. Ovviamente cominciando con una produzione di 550 bottiglie, mi occupavo anche di altro, dalle consulenze alla vendita di vino. Poi col tempo le richieste sono aumentate e di conseguenza anche la produzione. E quando ho raggiunto le duemila bottiglie, ho abbandonato gli altri lavori e mi sono dedicato solo alla mia azienda. Nel 2005 ho vissuto una crisi sia a livello personale che a livello aziendale. Stavo per vendere l'azienda”.
Come è riuscito a superare la crisi?
“Sicuramente la mia determinazione ha giocato un ruolo fondamentale. Stando a contatto con i produttori soprattutto francesi ho imparato il rigore e la serietà nel lavoro, oltre ad una correttezza e precisione notevoli. Dell'Italia mi ha incantato la generosità. Ho cercato di coniugare queste due caratteristiche positive, portando in giro il vino per proporlo interfacciandomi con potenziali acquirenti e coi produttori. In quel momento mi ha aiutato il fatto che l’Etna fosse un territorio poco conosciuto, eravamo in tre a portarlo in giro per il mondo: io, Andrea Franchetti e Marco de Grazia. E la cosa straordinaria è che con loro ancora oggi ci capiamo perfettamente anche se abbiamo idee enologiche diverse.
Oggi lavoro con un patrimonio agricolo che non ho fatto io. Ho comprato vigne vecchie di una volta, 12 ettari, metà in affitto, metà di mia proprietà ed è una cosa che ti rende molto umile perché sto lavorando con un patrimonio viticolo piantato e curato per generazioni da contadini del paese dove vivo. Allo stesso tempo sono felice ed orgoglioso di far parte della “rinascita dell’Etna”.
Oggi si parla tanto di vini naturali. Cosa si può definire naturale?
“Oggi molti utilizzano questo termine, e parlano di “vino naturale” perché fa moda. Se ci pensiamo bene tutto è naturale anche i veleni. Nel caso del vino sarebbe più corretto parlare di prodotto “non alterato”.
Direi dunque che tutto ciò che “snatura” il vino, ovvero le aggiunte, contribuisce alla sua non -naturalità”.
Oggi si consuma di meno. Cosa fare?
“Credo che il problema sia circoscritto all’Italia. In questa nazione si dovrebbe parlare meno di vino e bere di più. infatti il mio vino lo vedo principalmente all’estero, soprattutto nei Paesi nordici. Personalmente devo solo impegnarmi a produrre di più. In generale penso solo che la cosa più importante sia essere seri e professionali e soprattutto coerenti con se stessi e con il proprio territorio di riferimento, come ha fatto Angelo Gaja”.
I suoi assaggi migliori?
“Il vino che mi ha lasciato più impressioni nei primi anni di collezionista, è stato lo Chateau Grillet, un bianco del Rodano, rarissimo. Mi ha stupito la sua eleganza, la sua fragranza, mai esuberante. Lo definirei nobile di carattere e sempre fresco. Credo che i percorsi si comincino da questi vini “non immediati” che stimolano la curiosità e la voglia di ricerca. Quello è stato il punto di partenza per cominciare ad assaggiare vini sempre più importanti che avevo acquistato con mio padre. Il mio gusto si è sviluppato più sulla fragranza del vino, sulle caratteristiche olfattive. E anche questo, come ho accennato nelle prime battute, lo devo a mio padre che era un grande appassionato. Non aveva grandi conoscenze, ma grande curiosità. In ogni viaggio che faceva, cercava sempre vini particolari. Lui mi ha insegnato anche ad assaggiare i piatti. Questa esperienza durata quasi quarant’anni ha fatto sì, che nel tempo il mio approccio fosse più olfattivo che chimico- analitico.”
Se dovesse fare alcuni nomi di produttori italiani e stranieri a chi penserebbe?
“Il primo nome che mi viene in mente è Planeta, perché è stato capace di mettere la Sicilia sulla mappa del vino. Non condivido i procedimenti viticoli, ma a livello imprenditoriale hanno fatto un gran bel lavoro; Angelo Gaja, ovviamente, per le stesse motivazioni, relative al Piemonte, che prima di lui era una regione “contadina”. Lui con la sua energia e la sua dinamica ha tirato fuori il meglio portando tutto il Piemonte a livelli mondiali. Non ho mai incontrato una persona con una tale energia. Poi c’è Gianfranco Soldera per le sue provocazioni. Lo considero una grande persona per le sue previsioni, non solo riferite al mondo del vino, ma come scuola di vita.
Angelo Gaja
Gianfranco Soldera
Elio Grasso, piemontese, perché mi ha trasferito l'amore per la campagna e mi ha sempre spinto a non fare il viticoltore. Lo considero uno dei miei padri, una personalità forte e generosa allo stesso tempo. Un vero agricoltore. Un altro nome: Angiolino Maule. Con lui ho fatto un percorso di crescita intellettuale sul vino. Abbiamo fatto diverse esperienze insieme. Siamo una specie di fotocopia. Entrambi puntiamo all'eccellenza del prodotto, con scienza e con coscienza. La mia coscienza va più verso la filosofia, la sua va più verso la scienza. Sento molto questa somiglianza tra noi due.
Elio Grasso
Un altro grande nome è Marco De Bartoli. Lui era il non compromesso, la grande Sicilia tradizionale. Ho anche venduto i suoi vini in Belgio, quindi non parlo solo da appassionato. Il suo Vecchio Samperi l'ho sempre difeso davanti a tutti. Lui era la Sicilia antica. Storia, densità e allo stesso tempo freschezza e fragranza. Vecchio Samperi è emozione. Naturalmente Giusto Occhipinti. I più bei ricordi del Cerasuolo di Vittoria sono con lui. Lui è l'amore e la passione per la Sicilia, poiché essendo architetto è altamente sensibile ad ogni forma di cultura. Prendo spunto dalle sue parole, quando dico che la Sicilia non è un’isola, bensì un continente.
Marco De Bartoli
A questi produttori sono particolarmente legato. Ad altri sono legato attraverso il vino, ad esempio Jean Pierre Robinot, produttore della Loira, che nasce da appassionato assaggiatore e per questo molto simile a me. Malgrado le diversità nell’utilizzo di tecniche di produzione, mi sento molto vicino a lui anche spiritualmente. Un altro nome che vorrei fare è quello di Nicolas Joly. Un personaggio molto complesso. Ammiro la sua sensibilità per la non materia che va altrove. Lo trovo un filosofo. Potrebbe essere un discendente di Rudolf Steiner. Non è un'esagerazione. Ha un senso incredibile non solo del vino ma del mondo vegetale. Ha una sensibilità particolare per tutto ciò che non è vino. È un caso più unico che raro, purtroppo però, è spesso mal interpretato. È facile dire che lui sia il papà della biodinamica. Nicolas non è un bevitore di vino e non so nemmeno se veramente ama il vino. Lo trovo coerente perché il vino che contiene alcool è una droga, e perciò segue la linea antroposofica di Steiner. Penso che Nicolas è luce; io invece sono vino”.
Maria Antonietta Pioppo