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Il personaggio

Ecco la storia di tre amici che hanno deciso di fare il vino di “garage”

09 Gennaio 2013
garagisti garagisti

A guardarlo da lontano il panorama ibleo è di quelli in cui lo sguardo diventa un tutt'uno con l’aria, gli alberi, le ombre e la luce.

Qui tra scorci d’arte, l’asprezza del paesaggio e le facciate candide, intessute di simboli delle chiese barocche Salvatore Garofalo, Saro Guastella e Samuele Cesarato, ogni anno verso settembre si riuniscono per produrre un vino che ha il sapore dell’allegria. Quel vino senza ambiziose pretese e nato da un'animo che ricorda quello dei “garagisti” d'oltralpe. La loro è una storia di forte amicizia ed è questa che li ha spinti a fare qualche bottiglia per curiosità e per diletto.


Da sinistra Samuele, Saro e Salvo

L’obiettivo non vuole essere pretenzioso: l’intenzione è quella di voler realizzare un vino senza grossi difetti, certamente perfettibile nel tempo e con l’esperienza. Un vino che sia il più possibile naturale. Tutto nasce da una sfida. “Una volta – racconta Salvatore Garofalo – qualcuno mi ha detto che fare il vino è una cosa molto semplice: basta mettere il mosto in un recipiente e aspettare che diventi vino. Ho deciso così di cimentarmi nell'esperimento rendendomi conto subito, però, che non si trattava di una operazione così semplice”. Nel 2007 e dopo una preparazione più accurata, Garofalo decise di riprovarci insieme ai suoi due amici d’infanzia (tutti ormai quarantenni) in un piccolo dammuso nel cuore di Ragusa Ibla, divenuto nel tempo un piccolo laboratorio di sperimentazioni artigianali e di piccoli aneddoti. “Lo scorso mese -racconta Garofalo senza nascondere l’entusiasmo – abbiamo avuto il piacere di conoscere Peter Dipoli, noto produttore di vini del Trentino Alto Adige ed  enologo di provata esperienza, il quale ha espresso un giudizio molto positivo sul nostro vino ad eccezione dell’annata del 2009. Si tratta di un Cabernet Sauvignon  in cui ha riscontrato un difetto nei profumi”. Questo episodio li ha spinti a fare sempre meglio.


Saro e Salvo nel dammuso

Usano legno, barrique, per un anno. “Eseguiamo travasi in modo da ottenere un vino che sia il più limpido possibile – spiega ancora Garofalo –  visto che non facciamo filtrazione, stabilizzazione tartarica o aggiunta di prodotti chimici, procedimenti questi adatti a questo scopo ma che si possono effettuare soltanto in cantine professionali”. Il vino così prodotto non ha un nome perché si tratta di una micro produzione di circa cinquecento bottiglie l’anno: “Ci teniamo però alla sua qualità ed è per questo motivo che spesso chiediamo alcuni consigli al nostro amico e agronomo, Marco Calcaterra delle Cantine Avide e a Davide Tasca che opera in questo settore”. A volte ci sono delle discordanze amichevoli sulla scelta delle uve da vinificare: “Ma alla fine c’è sempre uno di noi che fa da ago della bilancia”. Dopo vari esperimenti le prime soddisfazioni sono arrivate nell’annata 2010 con un blend, in parti uguali, di Nero d’Avola e Syrah, molto apprezzato anche dal produttore trentino e da alcuni amici assaggiatori perché non presenta difetti, malattie e quindi cattivi odori. E’ abbastanza corposo e con una acidità non eccessiva che lo rende morbido al gusto con un leggero sentore di rovere dovuto alla permanenza in barrique. “Sostiene Peter Dipoli che per dare vita ad un buon vino” conclude Garofalo “bisogna partire da un’ottima uva e fare  poi molto bene e con passione poche cose indispensabili. Se a questo aggiungiamo che per noi tre il vino è anche la celebrazione della nostra amicizia, fare un buon vino a questo punto diventa veramente “na babbiata” (in dialetto “uno scherzo”)! A pensarci bene quest’ultimo detto siciliano potrebbe essere il nome che ci piacerebbe leggere su una nostra ipotetica etichetta”.

Rosa Russo

 

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