Da Gibellina a Sciacca, da Messina a Torino.
Non parliamo di un wine tour, ma delle rotte di uno chef con l’anima intrisa di storia e di cultura. E’ Antonino Iannazzo (nella foto), oriundo di Gibellina e “innestato” a Messina.
Dai suoi occhi trapela voglia di fare e una passione che contagia chi gli lavora a fianco. Lo abbiamo incontrato a Londra, in occasione dell’evento svoltosi all’Istituto Italiano di Cultura lo scorso 24 maggio. E lì ci racconta la sua storia e la sua esperienza in cucina.
All’età di tredici anni inizia la sua avventura tra lo studio e il lavoro che lo porta a fare esperienze in giro per l’Italia e all’estero. Muove i primi passi come cuoco, poi diventa pasticcere, oggi è protagonista di numerosi eventi che promuovono la Sicilia attraverso i piatti della tradizione.
Lo accompagna uno staff di ragazzi volenterosi, i più meritevoli scelti dall’Istitituto alberghiero Antonello di Messina, la seconda scuola più importante d’Italia. “Sono ragazzi volenterosi – spiega Iannazzo- anche se spesso sono scoraggiati dalla società o dalle stesse famiglie. Cerco di trasmettere loro la voglia di mettersi in gioco, di fare nuove esperienze. E soprattutto cerco di carpire chi di loro ha talento e passione, due qualità essenziali se si vuol fare questo mestiere”. Ma non solo tramanda e spiega le ricette il “prof”, come lo chiamano affettuosamente i suoi ragazzi, ma trasmette anche cultura del vino. “Oggi per un cuoco è imprescindibile avere la conoscenza enologica – dice – ecco perché consiglio ai miei alunni di fare corsi di sommelier.”
E proprio sul vino, vista la sua esperienza all’estero, dalla Germania all’Inghilterra, gli chiediamo come sia cambiato il modo di consumarlo. “Sicuramente sono stati fatti dei passi da gigante- afferma- specie se pensiamo che 20 anni fa la Sicilia non aveva una propria identità enologica, le sue uve erano spesso utilizzate per produrre vini al nord o in Francia. Oggi possiamo ritenerci orgogliosi dei risultati raggiunti, anche se a mio parere bisognerebbe fare una maggiore comunicazione e cercare di proporre dei prezzi più competitivi sul mercato. Un modo per riuscirci è quello di creare delle sinergie tra arte cultura e tradizioni dove il vino possa fare da trait-union per comunicare meglio anche la nostra ristorazione”.
E su quest’ultima, Iannazzo spiega come a livello internazionale, occorrerebbe fare un passo indietro per cercare di promuovere nel modo giusto le nostre prelibatezze “Negli anni la nostra cucina è stata cannibalizzata – e all’estero si sono appropriati indebitamente di alcuni nostri piatti nel modo sbagliato, dalla pizza alla lasagna. Bisognerebbe “rieducare” i palati ai sapori semplici e puri dei nostri territori, quelli che ci ricordano la nostra infanzia.”
M.A.P.