(Ciro Biondi)
di Francesca Landolina
“Nel mio vino c’è Etna, niente altro. Quando mi chiedono quali vitigni ci sono dentro, rispondo ‘Etna’”. È quasi una battuta. E forse può bastare.
È la risposta che preferisce pronunciare Ciro Biondi, vignaiolo di Trecastagni, versante est dell'Etna soprattutto quando si trova all'estero, Usa e Paesi anglosassoni, per degustazioni e fiere enologiche. Quasi una battuta, sicuramente una forzatura. Ma se avesse ragione Biondi? Lui poi aggiunge: “a che serve dilungarsi sui vitigni. Credo che il territorio valga molto di più e non dobbiamo smettere di imitare i francesi in questi ragionamenti”. Certo, se nel bicchiere c'è un rosso sarà quasi certamente un Nerello Mascalese magari con un saldo di Nerello Cappuccio. E se sarà un bianco potrebbe trattarsi di un Carricante con un'aggiunta di Catarratto.
“L’Etna – aggiunge Biondi – è un territorio che si vende da solo, unico al mondo. Non occorre confondere i consumatori, stranieri soprattutto, su nozioni che poco attraggono, almeno inizialmente. Personalmente, non uso più neanche le schede tecniche e poi trovo assurdo che mi dicano “Vorrei bere un Nerello Mascalese”. Che significa? Allora si dovrebbe rispondere: “Sì, ma un Nerello Mascalese prodotto dove?”. Bisogna insomma dar forza al territorio, tralasciando e mettendo in secondo piano le informazioni tecniche. Del resto, prosegue Biondi: “Il Nerello Mascalese non è Etna, diventa Etna solo e soltanto sulla Montagna”. Che sia una provocazione è facile da intuire e lo ammette lo stesso produttore, raccontando le reazioni riflesse sulle facce dei consumatori, spesso un po' disorientate davanti a quella sua risposta fuorviante solo in apparenza. Ma Biondi prosegue: “Se vai a comprare uno Chablis, chiedi mai che vitigno c’è dentro? Lo stesso approccio si dovrebbe avere nei riguardi dell’Etna”.
Tutto questo, secondo Biondi, è anche un modo migliore per proporsi, per vendere vino.Territorio e narrazione. Queste le due parole chiave per trasmettere il senso di quel vino. Poi, naturalmente, qualche informazione sui vitigni può seguire e lo stesso produttore spiega: “I consumatori a cui faccio degustare il mio vino in America, rimangono un po’ storditi dal mio modo di raccontare il vino, ma dopo mi intenerisco un po’ e se devo parlare dei vitigni autoctoni, come il Nerello Mascalese e il Nerello Cappuccio per esempio, lo faccio, ma senza scendere troppo sul tecnico. Non trascuro mai di raccontare l’origine del termine Mascalese dalla cittadina Mascali o altri aneddoti e racconti. Il vino, in generale, bisogna narrarlo, coinvolgendo chi ascolta per lasciare un ricordo che accompagni il gusto del sorso e rimanga a lungo nella memoria. A cosa serve conoscere il ph di un vino? Resta forse questo al consumatore, soprattutto a quello straniero? Non credo”.
Diretto e deciso, Biondi parla sulla base di una forte esperienza all’estero. L’azienda vitivinicola Le vigne Biondi a Trecastagni, in provincia di Catania, ha una produzione di circa 22 mila bottiglie, vendute all’estero per il 90 per cento dei casi. I mercati di riferimento più importanti sono gli Stati Uniti, il Canada, la Germania, la Russia, l’Inghilterra, la Norvegia, Singapore e Hong Kong. Negli Stati Uniti la stampa e i sommelier hanno fatto tanto per far conoscere il vino dell’Etna, un vino che del resto è in generale fatto bene e piace. Ma al consumatore, secondo il produttore, si arriva trasmettendo il significato del territorio. “Il mio vino è Etna. Non c’è altro da aggiungere. Per il resto basta berlo e se piace comprarlo”.