Monica Larner racconta in un'intervista l'Italia e la Sicilia del vino: “Nell'Isola si fa sistema più che altrove”
(Monica Larner)
di Francesca Ciancio
Un amore grande, quello di Monica Larner, per l'Italia, che va ben oltre il vino. La responsabile per l'Italia della rivista americana Wine Advocate ha sempre saputo che il Belpaese fosse il suo posto, fin da quando, 11enne venne a Roma con tutta la famiglia per seguire il padre, regista cinematografico.
Ci rimasero quattro anni, facendo la spola tra i continenti. Poi gli studi di giornalismo con la laurea a Boston e il master a New York e infine, la scelta definitiva di vivere e lavorare in Italia. Undici anni trascorsi a Wine Enthusiast e gli ultimi due con la creatura di Robert Parker.
Monica, avrebbe mai pensato di fare questo lavoro?
“Alla fine penso di fare il mio lavoro, ovvero quello della giornalista, quello per cui ho studiato. Non mi piace definirmi una wine writer, lo trovo limitativo. Il giornalista invece è colui che approfondisce, vuole cogliere il contesto, scava nei personaggi”.
Eppure di Wine Advocate rimangono impressi soprattutto i punteggi…
“Questo senz'altro, ma l'abilità sta nell'”umanizzare” le cifre. Io stessa all'inizio ero perplessa, ma poi mi ci sono affezionata. Anche i numeri possono diventare interpreti di un territorio. E poi rendersi conto dell'impatto globale che hanno è straordinario: bastano due numeri – e in pochi casi tre – per arrivare a chiunque. E' come un linguaggio condiviso da tutti”.
Cosa ricorda delle sue prime volte in Sicilia?
“Si può dire che abbia iniziato da qui: i miei primi articoli parlavano della Sicilia del vino per un quotidiano del gruppo Rcs. Siamo nella metà degli anni '90 e c'era un gran fermento: la Sicilia era una sorta di laboratorio a cui l'Italia poteva guardare e dove si discuteva di qualità, a discapito della quantità. A distanza di 25 anni ancora mi colpisce la coesione che c'è tra i produttori siciliani, la loro voglia di affrontare assieme le sfide, una capacità di fare squadra che raramente noto altrove”.
(L'Etna)
Di questa annata 2014 si dice un gran bene: le sue prime impressioni?
“Per ora ho avuto modo di assaggiare solo gli Etna e sono rimasta positivamente colpita. Un Nerello Mascalese così non lo vedevo da tempo: colori brillanti, vivi, intensi, così altrettanto i profumi. Nessun accenno di eccessiva maturità come era accaduto in passato. Stesso discorso per i rosati che, posso dirti, sono al momento i miei preferiti in Italia. L'Etna paga lo scotto, al momento, di non avere una lunga tradizione di affinamento. Quindi non possiamo dire con certezza che questi vini siano adatti all'invecchiamento. Non ancora almeno, ma io sono fiduciosa. Per questo motivo ho già messo da parte diverse bottiglie di questo 2014”.
Crede che un vino siciliano possa avere le carte in regola per puntare a 100/100?
“Potenzialmente sì e i primi a venirmi in mente, sono proprio i vini del vulcano. Ma potrei pensare anche a un passito di Pantelleria. Non ho ancora assaggiato un vino in grado di darmi la stessa emozione che ho provato con i due Brunello premiati( Il Marroneto e Casanova dei Neri ndr), ma non siamo così lontani. I 100/100 sono frutto della commozione che ti suscita un vino: se il 90 per cento di una degustazione è legato alla tecnica, il restante dieci è sorpresa, innamoramento. Un vino da 100 è per me il Sacro Graal”.