di Alessia Zuppelli
Un tempo scandito dai cambiamenti climatici e la volontà di orientarsi verso una produzione il più possibile rispettosa dell’ambiente, ma anche dei trend del mercato e del gusto dei consumatori spinge a una riflessione sul come la viticoltura debba orientare le scelte future.
Viticoltura come insieme delle tecniche agronomiche volte alla coltivazione della vite sì, ma vista come parte di un disegno più ampio che guardi a tutta la produzione agricola e ai naturali cicli biologici delle cose. Questa è la visione di Andrea Foti, giovane vignaiolo e “figlio d’arte”, che grazie agli studi in Enologia e Viticoltura a Milano e l’esperienza maturata nel quotidiano coltivando il lavoro e la passione de “I Vigneri” pone l’accento in maniera esaustiva sulle reali sfide che ogni vigneròn dovrà affrontare, svelandoci – infine – anche qualche dettaglio sul progetto con il fratello Simone e l’andamento generale della vendemmia 2021 appena conclusasi.
Reduci da un’estate dove la colonnina di mercurio ha sfiorato temperature costanti di 40° gradi e oltre, e da recenti eventi estremi, come interpreti da un punto di vista vitivinicolo il cambiamento climatico, e cosa fare per difendere il lavoro sui territori?
“All’Università si parlava spesso di questo tema, quello del cambiamento climatico, come evento che storicamente è sempre esistito. In teoria, quindi, è un processo fisiologico, ciò che è cambiato è la repentinità con cui esso accade. Anche sull’Etna questi eventi li abbiamo vissuti. Basti pensare a questi giornate, siamo passati da momenti di estremo caldo al freddo a distanza di poco meno di una settimana. Così come all’annullamento delle stagioni verso un clima quasi tropicale. In merito al cambiamento netto di temperature ed eventi disastrosi, quello che mi viene da pensare è che il nostro tempo non coincide con il tempo biologico e naturale delle cose”.
La conoscenza scientifica si è orientata a un’agricoltura di quantità?
“Anche i Sumeri, ad esempio, per ragioni di quantità, erano orientati a un’agricoltura particolarmente produttiva. Se la si guarda oggi, quella zona è deserto. Per fare esempi più odierni, l’irrigazione ad esempio nel caso della vite è quasi sempre finalizzata ad un incremento quantitativo e non realmente necessario alla fisiologia della pianta e quindi al suo equilibrio. Nel nostro mondo quando si parla di viticoltura sostenibile bisogna iniziare a capire cosa è. L’impatto ambientale nel vino c’è, innegabile. Anche in quelli che vengono chiamati naturali. Oggi c’è un abuso della parola sostenibile, ma fare biologico sull’Etna o in altre zone, in Veneto o altrove non è la stessa cosa. La pressione data dalla monocultura, in alcune regioni del Nord Italia è molto più alta. Quindi chi produce deve difendere non solo la vigna ma tutte le altre colture, avere rispetto di tutta la produzione agricola e delle risorse naturali”.
Cosa ne pensi quindi dei vini naturali?
“Oggi vanno di moda. Si parla di vini fatti in vigna senza solfiti, ecc ecc. Ma è limitativo. La produzione di vino ha un impatto importante sull’ambiente. Nessuno si preoccupa di acqua, dell’utilizzo della plastica in cantina e vigna dell’emissione di Co2. Se volessimo essere sostenibili non dovremmo neanche produrre vino, a dirla tutta. All’Università non se ne parla molto, si è ancora rivolti a un’idea limitativa di vino come prodotto dell’industria agricola e non come mezzo di conservazione ambientale. Quello che è chiaro per noi giovani è non dobbiamo limitarci alla produzione del vino. In Pianura padana o in Veneto, come accennavo prima, la monocoltura ha creato condizioni elevate di pressione dei patogeni. Ciò richiede un incremento sempre più alto dei trattamenti fitosanitari. Nelle vigne etnee ad alberello, che ancora si presentano come dei giardini dove convivono altre colture, tale pressione principalmente funginea è limitata. La via, dunque, a prescindere dai cambiamenti climatici è un approccio olistico e non monocolturale. Non a caso è nata una disciplina la agroecologia, che cerca di adottare principi e metodi ecologici provenienti anche da precetti scientifici con la finalità di produrre in modo più sostenibile possibile. I principi sono quelli che molti conoscono come precetti della biodinamica, guardare alla terra come un insieme di elementi complementari e autosufficienti fra loro. La biodinamica ha studiato l’agricoltura di un tempo e l’approccio era proprio quello olistico. Guardare la luna, ad esempio, non l’ha inventato la biodinamica, sull’Etna lo fanno sempre. Ha solo fatto suoi principi importanti che già esistevano”.
L’Etna rappresenta in Sicilia e nel mondo un esempio di Isola nell’Isola, un microclima a sé stante. Si sono avvertiti anche in questo territorio le influenze di questi campanelli d’allarme?
“Le condizioni ambientali di maggiore umidità hanno incrementato la pressione dei patogeni nelle vigne. Ci sono sempre più difficoltà a fare vino buono con tanta facilità. Mio papà (Salvo Foti, ndr) mi racconta che anni fa il vino era molto più semplice proprio perché il clima era tale da rendere l’uva sana con interventi quasi nulli. Le influenze di questi campanelli di allarme sono palesi nell’alternanza immediata delle annate recenti che ho vissuto 2017 calda, 2018 piovosa, 2019 equilibrata, solo per citare le più recenti”.
Già l’agosto scorso un noto produttore etneo ha dichiarato al nostro giornale di avere iniziato con la vendemmia. Scelta personale, secondo te, o reale esigenza?
“Può essere che abbia fatto una scelta preventiva. La vendemmia etnea solitamente può slittare o anticipare di una settimana, quindi si potrebbe trattare di una scelta dettata dal tipo di uva e da una precisa scelta enologica”.
Hai da poco avviato un nuovo progetto con tuo fratello Simone. Vuoi raccontarci il vostro punto di vista su clima e vendemmia 2021?
“Noi abbiamo avuto maturazione tecnologica e fenolica perfette. Ci aspettiamo per questo motivo dei buoni vini per l’annata 2021 partire dai bellissimi colori dei rossi. Abbiamo riscontrato questo sia a Milo, nonostante li si viva una condizione più nordica, che a Nord. Questo vale per tutte le nostre vigne. Riguardo, nello specifico, la vigna mia e di Simone, questa era stata abbandonata da due anni, il numero di grappoli per pianta era abbastanza basso e la maturazione anche li è stata perfetta. Abbiamo fatto potatura verde per creare un micro-ambiente sano nella zona dei grappoli. Caldo, cenere e lapilli non hanno inficiato significativamente la vendemmia sul versante Est. Il Carricante ha una buccia spessa, è un vitigno dalla personalità forte. L’acino danneggiato dai lapilli con il caldo estivo ha subito un processo di disidratazione e non compromettendo la sanità del grappolo con attacchi botrtitici. Per difenderci abbiamo usato anche la zeolite, una pomice che serve ad asciugare il grappolo. Il danno più grande dei lapilli è stato solo sulle foglie. In contrada Tartaraci Soprano 1009 sml fra Bronte e Maletto abbiamo avuto anche qui uve perfette, fermentazioni lente ma che si sono completate. Coltiviamo Grenache, l’anno scorso è stato più che altro un esperimento, solo duecento bottiglie per noi e per gli importatori che le hanno richieste. Da quest’anno siamo riusciti a ottenere circa 700 litri. La 2021 sarà in commercio a maggio dopo un affinamento esclusivamente in acciaio a seguito di una macerazione di cui della quale il 30% con grappolo intero. Questa è una vendemmia andata bene e che ci rende ben fiduciosi del risultato finale che andremo ad assaggiare”.