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Il personaggio

Alessandro Dettori: “Un grave errore usare la chimica per fare i vini”

12 Dicembre 2012
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Alessandro Dettori

“Il sistema industriale ci indica la strada, in maniera non certo velata, una strada tracciata che rende esose e tortuose le altre vie. E fa il suo dovere. Il problema è la politica che a noi non dà la libertà di azione”.

E’ un fiume in piena Alessandro Dettori, il produttore di  Badde Nigolosu, nel territorio di Sassari, uno dei nomi nazionali di spicco della rosa dei vignaioli che producono in biodinamico e membro dell’associazione Renaissance des Appelations Italia, che divulga la cultura del fare vino di terroir. Vuole parlare su cosa vuol dire oggi agricoltura biodinamica o naturale, stimolato dall’articolo di Giusto Occhipinti che Cronache di Gusto ha pubblicato.
 
Pensa che l’industria chimica effettivamente condizioni o ostacoli chi vuole produrre in modo naturale, biologico o biodinamico. C’è un interesse di lobby?
“Si, in un certo senso siamo minacciati dal sistema industriale che ci obbliga ad utilizzare la chimica. Condivido il pensiero di Giusto Occhipinti. Attenzione, qui non voglio dire che c’è qualcuno che punta la pistola alla testa. Diciamo che si mette in difficoltà la viticoltura naturale. Ma se accade questo la colpa la si deve attribuire alle istituzioni”.
 
In che senso?
“Faccio un esempio. Un tempo ognuno poteva auto produrre barbatelle. Oggi si devono acquistare quelle certificate per questioni fitosanitarie. Ora, si possono sempre produrre le barbatelle ma bisogna richiedere delle certificazioni, fare analisi di laboratorio, tutto diventa farraginoso e costoso in termini di risorse e di tempo impiegato. Faccio un altro esempio. Adesso si prospetta che per il 2015 verrà vietato il rame. Perché? E’ l’unico strumento a disposizione dei viticoltori che non vogliono usare la chimica di sintesi. Il rame fa male ma solo se si guarda agli indici di utilizzo che ne fanno al centro-nord Europa, una ventina di chili per ettaro. E gli studi scientifici prendono come riferimento questi parametri. Chi invece porta avanti un sistema di coltivazione oculato arriva ad usarne un massimo di un chilo. Io, per esempio, ne uso 200 grammi nelle annate difficili. Il rame non lascia nessun tipo di residuo se si fa buona agricoltura. Così con questo divieto si va a guardare un piccolo male ma non tutto il male che c’è attorno. Con i prodotti sistemici odierni non ci sono residui, vero, ma si ammazza l’immunità della pianta, rendendola un automa, come un uomo mantenuto in vita in ospedale dalle macchine. Ci sono delle pressioni di lobby per fare togliere il rame dal commercio, e proprio le istituzioni se devono intervenire e mettere limiti dovrebbero porli nel biologico in tutta Europa. Le cose vanno fatte con coscienza. E poi devo dire una cosa. Non serve usare prodotti di sintesi. Chi usa la chimica soprattutto nel
centro-sud del nostro Paese fa un grave errore. Il clima, il territorio e la natura non rendono necessari tali interventi”.
 
Il suo punto di vista sulla biodinamica, è moda?
“Intanto dobbiamo soffermarci sugli obiettivi comuni di chi ha intrapreso un certo percorso. Oltre la soddisfazione di vedere un habitat in vita, l’intento è quello di lasciare la terra alle generazioni future il meno inquinata possibile.
Chiunque intraprenda la via del non inquinare mi rende felice, al di là del motivo per cui abbia imboccato questa strada. Non voglio fare il processo alle intenzioni, non voglio sapere se ha scelto la via biologica e/o biodinamica per business. Ben vengano più ettari di terra non inquinati. L'importante è che le persone non si presentino per quelle che non sono, che non si presentino come bio/eco qualcosa quando invece continuano ad inquinare. Noi vogliamo un'agricoltura che sia degna del nome di agricoltura, vogliamo la vita, la biodiversità. Quello che per esempio sosteniamo con Renaissance Italia, è la rinascita delle denominazioni, il nostro obiettivo non è fare biodinamica, ma fare rinascere le denominazioni, poi ci siamo accorti che il migliore dei risultati per fare vino di territorio era anche il sistema della biodinamica, e sottolineo “anche” perché non bisogna dimenticare che la cosa più importante è adottare prima di tutto le buone pratiche agricole”.
 
Il concetto di vino naturale è una categoria o un marcatore commerciale? Ci dia una
definizione.

“Purtroppo è una definizione aleatoria, noi produttori che facciamo vino naturale dovremmo cercare di farla propria. Più che di vino naturale si dovrebbe parlare di vino di terroir. E comunque il vino naturale non è una moda degli ultimi anni, già in Francia se ne parlava abbondantemente negli anni ’60. Diciamo che è uno strumento e non il fine. L’unica via per l’italia è il vino di terroir, significa non utilizzare chimica in vigna e in cantina, poi ai produttori la scelta del metodo. Nel mio caso, dal 2003 pratico la biodinamica, se domani mattina mi dovessero presentare un altro strumento che mi permette di non usare la chimica e di poter fare un vino di territorio, una  spremuta di uva dove dentro c’ la cultura di secoli, io adotterò quel sistema”.
 
Le certificazioni biologico o biodinamico hanno valore, servono davvero?
“Sino a 5 anni fa ero contro le certificazioni, da anarchico e indipendentista, io vorrei credere ad un mondo fatto di persone serie, che vivono con la stretta di mano e sulla parola data, ma viviamo in una situazione al contrario dove la verità è presentata come mendace e le bugie come verità. Ci vuole una responsabilità sulla chiarezza nei
confronti dei consumatori. La certificazione non serve per certificare se stessi ma per non certificare gli altri, per essere seri servono paletti fissi, almeno la certificazione bio dà delle garanzie, anzi è la base di partenza. C’è una normativa adesso che  vieta l’uso di parole come “eco”, “bio” a chi non ha la certificazione, ecco da lì costruiamo”.
 
A quale fiera l’anno prossimo parteciperà? La troveremo a Cerea, a Villa Favorita?
“No, sarò al Vivit di Vinitaly. Grande rispetto per gli organizzatori delle altre due manifestazioni. Ma ho scelto di andare a Verona. L’Ente fiera ha fatto bene ad aprire questo sipario su questo mondo della produzione. Il Vinitaly continua ad essere il più importante evento internazionale. E sono stati bravi, con questa nuova formula, a presentare tutta l’enologia nazionale. Magari ragionassero così le istituzioni. Dovrebbero esserci più eventi così”.

M.L.