È da un paio di millenni che per la cultura occidentale la tavola equivale a simposio, o più latinamente convivio. Significa bere insieme, anzi vivere insieme quello che si è configurato come un momento della socialità per eccellenza. Qualcosa tuttavia sembra essere cambiato: una sorta di atomizzazione del pasto, per cui non fa più notizia l’avventore che si sieda solitario al ristorante. Il sospetto un tempo era che si potesse trattare di un critico o di un ispettore in incognito, tanto era insolita la circostanza, più che mai se indossava la gonna. Ora l’edonismo gastronomico solitario appare sdoganato: secondo i dati snocciolati dalla società di booking online OpenTable, dopo la pandemia le prenotazioni singole sono aumentate in Gran Bretagna del 14% annuo, soprattutto grazie a Generazione Z e Millennial, fino al 23% di Manchester; un trend che si conferma in Italia, dove secondo The Fork il 4% di chi prenota lo fa solo per se stesso, percentuale che sale al 5% nelle regioni settentrionali, fino al 9% di Torino. Ma secondo gli osservatori, i dati reali sarebbero più elevati, visto che non tutti i mangiatori solitari alzano la cornetta, confidando nella possibilità di infilarsi agilmente, a differenza delle comitive.
L’identikit li vuole giovani e spesso stranieri. Il loro plus sta nella possibilità di concentrarsi sulle proprie sensazioni, senza la distrazione della conversazione o l’obbligo di attenersi a ritmi altrui, più che mai oggi che il telefonino consente di condividere l’esperienza in diretta. Perché, come ha affermato il critico Jay Rayner, “mangiare da soli è come cenare con qualcuno che ami”. Tuttavia il “solo dining” potrebbe rappresentare un problema per i ristoratori: l’occupazione di un tavolo da parte di un singolo avventore non garantisce infatti i medesimi profitti, tanto che c’è chi ha fissato un limite minimo di due, bloccando il sistema o comunque sfavorendo la prassi.
Anche Mauro Uliassi ha registrato questo trend a Senigallia: “Ma il personaggio che mangia da solo in realtà c’è sempre stato. Di solito è quello che ama stare per conto proprio e dedicare una giornata al ristorante. Essendo solo, viene attenzionato in modo particolare, col pensiero che possa fargli piacere conversare e instaurare una relazione. Cosa che è più difficile con una coppia, oltre le domande di routine. Poi c’è il mito che il cliente solitario possa essere un uomo Michelin, ma è falso perché talvolta sono in due, tre o quattro. Ti sorprende chi arriva dall’estero, magari apposta per te con la macchina in affitto, e ti invita con la sua stessa presenza a interrogarti. Spesso è un esperto, planato da altri continenti col fine di assaggiare qualcosa di cui ha sentito parlare. È vero che il fenomeno potrebbe rappresentare un costo, ma non ci siamo mai posti il problema, che può diventare pressante quando ci sono pochi coperti. Allora sarebbe comprensibile, ma non è il nostro caso. Personalmente mi piace sia mangiare in compagnia che da solo, non ho il problema, anzi. Diventa un’esperienza intima: sei tu col cibo, spesso in relazione con il proprietario e con la sala, per il desiderio di relazione cui accennavo”.
Fresca di premiazione Michelin, Vanessa Melis di Pascucci al Porticciolo ha portato un po’ di rosa sul palco di Modena. “Può capitare di avere come ospiti dei ‘solilli’, anche perché siamo vicini a un grande aeroporto, che porta passaggio. Ci chiamano magari fra un volo e un altro, cercando una pausa. Quindi c’è richiesta, alcuni vogliono farsi un’esperienza e concentrarsi meglio sul piatto; magari dopo essere passati in gruppo, tornano da soli. Ma ci possono essere anche altri significati e la sala tende a occuparsi e preoccuparsi di più. È vero che il profitto può calare, ma il ristorante deve offrire un servizio a tutti, senza discriminazioni. Personalmente mi piacerebbe molto godermi un’esperienza del genere, però alla fine siamo sempre io e Gianfranco, talvolta con i nostri figli, quindi non riesco. Ma ogni tanto vorrei essere coccolata anche io”.
Ma che ne pensano loro, i gourmet? Chiara Agostinelli non è una qualsiasi: è stata premiata dalla guida Espresso come cliente dell’anno nel novembre 2016, in occasione del primo conferimento. “E proprio in questo momento sto andando in treno da Matteo Baronetto. Sì, la maggior parte delle volte vado da sola, altrimenti con qualche addetto ai lavori, soprattutto all’estero, ma di certo né con il primo né con il terzo che passa per strada. Mai in gruppi che superino le tre persone. Per me vuol dire aver modo di impiegare il fior fiore del mio tempo, perché è una passione al 100%, in un’esperienza dove raccolgo il massimo delle sinergie tra chi crea il piatto, chi me lo porta al tavolo e le mie sensazioni. Qualcosa che deve essere veicolato, ma che poi entra in me. E più va a fondo, più sono desiderosa di farlo uscire verso la sala e la cucina. Allelois, come si dice in greco: ovvero l’un l’altro. Un’esperienza che di rimbalzo va fuori. Questo mi dà tanta gioia. Percepisco tutto fuorché una sensazione di solitudine, mi sento anzi nella pienezza delle presenze. Prima andavo con il mio fidanzato o qualche amico. Preferivo non mangiare che sedermi da sola. Poi quando ho iniziato, intorno al 2006, leggevo negli altri uno sguardo di stupore, magari pensavano fossi un ispettore. Io però non mi sono mai sentita sola, adesso poi è una sublimazione. E la gente non si stupisce più, noto anzi molta naturalezza, poi scopro che magari mi conoscono. A tavola il telefonino mi serve solo per fotografare qualche piatto: non voglio distrazioni. Sento pienezza perché sono concentrata in ciò che sto vivendo, mediamente nell’arco di quattro ore. Sono viaggi che mi danno ogni volta un segno positivo: è molto difficile che torni a mani vuote, perché più passa il tempo, più mi rendo conto che il piatto è un veicolo per capire il cuore che batte in chi gli sta dietro”.
Di tutt’altro avviso Felice Marchioni, anch’egli premiato da Espresso nel 2018: “Non mi è mai successo di mangiare da solo: non mi piace, ho sempre bisogno di compagnia. La convivialità per me è la cosa più importante, anche se scelgo prima i ristoranti, poi la persona. Quasi sempre mia sorella Roberta, con la quale sono appena stato da Abba; più difficilmente un appassionato oppure un tecnico. Trovandomi da solo, piuttosto me ne torno a casa”.