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Il caso

“Vinitaly vetrina irrinunciabile per i contatti con l’estero ma ancora troppe le criticità”

15 Gennaio 2013
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 Il dibattito sulla fiera di Verona, parlano altri quattro produttori italiani di vino 


Beppe Rinaldi, Peter Dipoli, Gianfranco Fino, Antonio Capaldo

“Ma sì, il Vinitaly un senso per esistere ce l’ha. Ma non per noi, piccoli produttori delle Langhe. E non perché siamo piccoli e non disponiamo ingenti somme che la partecipazione implica, ma perché la nostra filosofia non si riconosce nelle logica dell’evento il cui primo e ultimo fine è concludere affari più che raccontare i vini di chi vi partecipa”.

A parlare è Beppe Rinaldi un langarolo autentico, che interviene insieme ad altri produttori italiani al dibattitto “Vinitaly si, Vinitaly no, i costi e le criticità del salone” sollevato da colleghi siciliani nel corso della presentazione del programma di internazionalizzazione dell'Irvos tenutosi qualche giorno fa a Palermo. Rinaldi cura il suo “orticello” di pochi ettari, che gli rendono si e no trentamila bottiglie, che produce con l’aiuto di sua figlia Marta. Lei già pronta a raccogliere l’eredità di un patrimonio di conoscenze che il Beppe continua a coniugare attraverso  una viticoltura che non ama chiamare “biologica” né naturale, né biodinamica, ma semplicemente “etica”. E proprio la sua enologia etica giustifica  l’appartenenza a quel gruppo di viticoltori che aderiscono a ViniVeri, il loro “Vinitaly”. E lì, Beppe Rinaldi, non manca mai. “E’ un convegno dove si ritrovano non solo “veri vini” ma anche veri amici – chiosa Rinaldi –  accumunati  dalla stessa “etica”, e con una filosofia mirata ad opporsi  a quel mondo che procede a rimorchio e in direzione opposta. Quella imboccata dalle citate  lobby dominanti  che  promuovono il  raddoppio della produzione, perseguono la politica taumaturgica  della moltiplicazione dei pani e dei pesci e portano  a detrimento la qualità, la serietà e la  nobiltà di un prodotto unico il cui marchio è conosciuto in tutto il mondo: “le Langhe”. Purtroppo siamo rassegnati a convivere con queste realtà, per questo diciamo “sì” al Vinitaly. Ma altre “tre volte sì” ai “ViniVeri”.

L’importante è partecipare. Per Peter Dipoli, vigneron altoatesino il Vinitaly ancora è una piazza di riferimento per buyer ed importatori stranieri. Ma se da un lato  continua ad avere il suo peso porta in seno sempre le stesse criticità. “Lo scorso anno – dice Dipoli – non ho avuto una esperienza diretta come espositore perché sono stato ospite di una azienda che distribuisce i miei vini. Credo, però, che uno dei problemi più grandi di questa manifestazione sia legata al sovraffollamento, al traffico e all’isolamento. Tanti vorrebbero spostare il Vinitaly fuori Verona, ma credo che su questo non si troverà mai un accordo. Si potrebbe magari pensare di farlo un anno Bordeux e un anno a Verona, ma anche questa è una soluzione difficile da attuare”. Al di là delle possibili congetture, sostiene Dipoli che il Vinitaly è una vetrina indispensabile per i contatti internazionali: “E’ frequentata, infatti, dai più importanti importatori del mondo che si recano a Verona proprio perché sono interessati ai vini italiani. Altrimenti andrebbero soltanto a Bordeaux”. C’è poi la questione legata ai costi: “ Nell’edizione 2012 ho speso intorno ai tremila e seicento euro perché ero con il mio distributore. Quest’anno partecipo con la Camera di Commercio e la Provincia di Bolzano, il cui contributo agli espositori fa diminuire i costi. In questo modo la mia azienda spenderà per l’edizione 2013 circa mille e seicento euro”. Certo in questo modo lo spazio è molto ridotto (all’incirca 40 mq.) e lo stand si divide con altri produttori. L’azienda Agricola Peter Dipoli si trova ad Egna, in provincia di Bolzano, e produce quaranta mila bottiglie all’anno.   

Al Vinitaly non rinuncia, per lui il salone del vino di Verona rappresenta “La storia d'Italia”. Gianfranco Fino, il produttore enologo rivelazione di questi ultimi tempi, uomo del vino del 2012 con il suo pluripremiato Primitivo di Manduria Es 2009, e che anche con l'annata nuova si conferma re dei rossi italiani, nel padiglione della Puglia ci sarà. Decisione ferma pro- Vinitaly, anche se sulla logistica e i servizi il parere di Fino è in linea con quello espresso già da molti altri colleghi. “Per quanto riguarda questo tema siamo dinanzi alla problematica di sempre”, dice il produttore pugliese che avanza, invece, una proposta sul calendario del format Vinitaly. “Si dovrebbero ridurre a tre le giornate, sullo stesso modello del Prowein e di tante altre fiere internazionali. Certo le cose sono migliorate con i cambiamenti dell'edizione passata, ma è sempre un impegno oneroso, troppi giorni fuori dall'azienda per noi piccoli produttori. La nostra è a conduzione familiare  e stare via così tanto tempo dalla cantina comporta sacrifici, significa non potere seguire tutte le altre incombenze necessarie alla gestione dell'azienda. Mettiamo nel conto che poi veniamo dal sud, pesano anche i giorni di viaggio dato che portiamo in macchina i vini”.  Il costo del Vinitaly è poi sostenibile: “Usufruiamo degli spazi che ci dà Unioncamere, alla quale aderiamo, andando incontro a una spesa contenuta, di circa due, tremila euro. Diciamo che tra costo dello stand, soggiorno, trasferte, carburante – conclude – il Vinitaly costa alla mia azienda ogni anno sui cinque mila euro”. L'azienda si trova nell'agro di Manduria, in provincia di Taranto, otto ettari di vigneto divisi tra Negroamaro e Primitivo e firma, con l'Es e l'Jo, una piccola produzione di 18.000 bottiglie.
 
Anche Antonio Capaldo, presidente di Feudi di San Gregorio, ha deciso che parteciperà nello stand regionale della Campania. “Questa manifestazione – dice con convinzione – rimane una importantissima occasione di promozione. E’ una fiera che negli ultimi anni ha vissuto un notevole incremento di presenza da parte degli espositori esteri. Lo scorso anno il cambiamento della formula è stato un fattore molto positivo perché ha permesso di rivolgersi ulteriormente agli operatori del settore e a quelli stranieri”. Capaldo propone anche alcune soluzioni: “Le problematiche legate al Vinitaly si devono risolvere dall’interno. Pensare di andare via, pensare di non farlo più è sbagliato anche se si tratta di un evento certamente perfettibile. Secondo il mio parere bisognerebbe dedicare la manifestazione sempre di più al settore professionale e un po’ meno al privato. Feudi di San Gregorio partecipa ogni anno sia alla Fiera del vino di Bordeaux sia alla Pro Wein di Dusseldorf e posso dire che non hanno nulla in più rispetto al Vinitaly. C’è soltanto una questione che deve essere risolta a Verona: i grandi buyer e i giornalisti più importanti vanno più facilmente in Francia e in Germania più di quanto accade per il Vinitaly perché qui, a causa della troppa affluenza del pubblico, non ricevono la giusta attenzione e rende difficile agli operatori del settore la fruizione degli stand”. Il salone per il giovane produttore non ha nulla da invidiare alle altre fiere internazionali sul vino: “la qualità degli spazi è ottima – conclude Capaldo – come la qualità del vino. Ecco uno scenario possibile per il futuro: internazionalizzare il Vinitaly per arricchire ulteriormente questa grande vetrina dedicata al vino”. L’azienda di Sorbo Serpico, in provincia di Avellino, produce tre milioni di bottiglie all’anno.      

Manuela Laiacona, Stefano Gurrera, Rosa Russo