Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Il caso

“Come si fa a vendere un extravergine a meno di 4 euro?”

24 Ottobre 2013
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Lo sanno in pochi, ovviamente i produttori e chi opera nel settore (almeno dovrebbero), il consumatore invece lo ignora di sicuro:  il costo di produzione, nudo e crudo, di un  “vero “ olio extravergine d’oliva, cioè senza considerare i vari passaggi della filiera che lo portano allo scaffale, è di 3,53 euro.

Costo stimato in maniera puntualissima da Unaprol, non comprensivo quindi dei costi di confezionamento, della bottiglia, dell’etichetta, del tappo, dei costi di logistica, di distribuzione e di trasporto e di tutti gli altri che fanno parte della vita commerciale di un prodotto. Nei supermercati e in tanti altri luoghi di vendita impera invece l’offerta di olii anche al prezzo di 50 centesimi o di altri promossi a 2,99 come pregiati extravergini, con tanto di bandiera italiana a fare da richiamo, e da rassicurazione, e con le diciture che rimandano ad aree olvicole rinomate messe bene in vista. Non c’è bisogno di fare calcoli, l’evidenza c’è tutta. Uno dei comparti più importanti e centrali della tradizione agroalimentare italiana (la superficie olivicola, secondo gli ultimi dati Istat, ammonta a 1.156.118 ettari) continua ad essere in mano a politiche per nulla etiche, alimentate da una sorta di connivenza a più livelli e nei diversi ambiti della produzione e commercializzazione.

Certo adesso, dopo tanti tentativi di osteggiamento, c’è la legge salva olio a fare da scudo, ci sono i controlli ad opera degli organi preposti ad intercettare le contraffazioni dentro e fuori i confini, ci sono le campagne condotte dalle associazioni di categoria, ma il sistema continua ad essere caratterizzato da maglie larghe che consentono ad agromafie e a chi non ha a cuore la qualità e l’identità del prodotto, e ancora meno chi lo consuma, di fare business e di danneggiare l’autentico Made in Italy. Sulla questione e sullo stato attuale che vive l’olio italiano nel mercato abbiamo interpellato Massimo Gargano il  presidente di Unaprol, il più grande consorzio olivicolo nazionale, che proprio ieri ha lanciato la proposta del marchio etico per l’olio extravergine italiano, sposando l’iniziativa di alcune associazioni di consumatori della Gran Bretagna e della Norvegia che hanno posto all’attenzione pubblica l’eticità di alcuni prodotti agricoli come i pomodori, dietro a cui spesso c’è una dinamica di produzione che ricorre allo sfruttamento della manodopera con logiche di caporalato.

Quanto è etico il Made in Italy?
“Purtroppo il Made in Italy subisce una condizione di slealtà mercantile. Per questo ho proposto il marchio etico. Se vediamo sugli scaffali olii ad un prezzo ben al di sotto del costo di produzione, significa che qualcosa non va e a tutti i livelli dell’intera filiera. Come è possibile che la grande distribuzione non sappia cosa ci sta dietro a determinati prodotti che mette sullo scaffale? Chiude gli occhi. E la stessa cosa lo fa l’industria. Si rischia di tacere e di accettare, e così facendo di favorire, un certo sistema, determinati comportamenti. E chiamo in causa anche i buyer stessi. Non si rendono conto cosa immettono nel mercato, quello che offrono al consumatore finale, che non corrisponde certamente a quanto dichiarato in etichetta?
 
Il sistema dei controlli secondo lei sta funzionando?
“In un certo modo si. Ma abbiamo una legge, la salva olio, che dà la possibilità a chi controlla di usare altri strumenti oltre i parametri analitici critici. Sappiamo benissimo che in  un laboratorio un olio di palma che costa meno di 18 centesimi al litro può diventare un extravergine delle colline toscane. La chimica aggiusta. E quel tipo di olio se analizzato risponde ai parametri della legge. Sfruttiamo invece i panel test. Perché chi controlla non comincia a prelevare olii che sono sospetti in base al prezzo e a sottoporli al panel test? Scomparirebbero dagli scaffali una marea di prodotti come l’olio Podere  del Duca. Questo è un olio che circolava a bassissimo prezzo, devo dire con un nome evocativo, lo abbiamo intercettato la settimana scorsa e lo abbiamo analizzato. Veniva dalla Lombardia e ovviamente non era olio extravergine d'oliva italiano ma, volendo usare un’espressione colorata, era fango. Se questo lo fa un consorzio privato perché non dovrebbero farlo, e sempre, gli organi che controllano? Si deve operare costantemente per ricercare l’eticità e garantire la sicurezza alimentare”.
 
In tutto questo però è critico il ruolo del produttore
“Il produttore alla fine è l’anello debole della catena, parlo di quello onesto, non può adottare scorciatoie perché la pagherebbe cara, quello che deve fare è stringere rapporti con la rappresentanza moderna. Si può mettere allora in campo una partita vincente. Lo dimostra, e lo dico con orgoglio, la legge Salva Olio promossa da Coldiretti, Symbola e Unaprol, frutto di un bellissimo e virtuoso esempio di rappresentanza. Certo poi l’Europa, dando ascolto a chi opera nelle zone grigie, ci ha messo in condizioni di perdere tempo”.
 
Da più parti viene detto che la lotta alla contraffazione e alle agromafie la si deve condurre a Bruxelles
“Si, ma purtroppo siamo in una Europa che è solo economica, più vicina alle banche che non  ai suoi cittadini. E' comune solo quando si parla di moneta, vive di enormi egoismi. D’altro canto non è più tempo di fare battaglie di retroguardia. La nostra classe politica ha in mano una enorme potenzialità,  quella di rappresentare un sistema di valori veri e originali. L’agroalimentare è l’unica scelta possibile che può fare il nostro Paese. Chi ci governa deve capire questo. Il modello di sviluppo non potrà mai essere l’edilizia, l’acciaio o le automobili, su cui invece stanno riuscendo bene i paesi emergenti. Noi abbiamo l’agricoltura  e su di essa possiamo fondare la nostra competitività, perché è un patrimonio straordinario e originale. L’olio Dop dei Colli Martani, la Mozzarella di Bufala Campana Dop, i tanti formaggi del nostro paese, sono solo nostri, al pari del Colosseo, del nostro mare, delle bellissime piste da sci delle Dolomiti”.
 
Si cerca di sensibilizzare il consumatore sulla qualità dei prodotti, ma questo deve fare i conti con il portafogli, è costretto ad acquistare in base al prezzo
“E’ indubbia la contingenza negativa, c’è un grave disagio. Però il consumatore deve anche capire perché, per esempio, la bottiglia di olio che sta comprando ha un costo di 2,99 euro, deve cominciare a chiedersi cosa ci sta dentro. Deve essere lui stesso ad entrare in allarme se vede un determinato prezzo. Oppure se si reca ad un ristorante deve alzarsi ed andarsene immediatamente se vede sul tavolo un’oliera non a norma, deve impegnarsi in prima persona a contrastare queste dinamiche, a far lievitare e diffondere una certa cultura della qualità”. 

Manuela Laiacona