Dall’America ed esattamente dalle pagine del New York Times arriva la provocazione: la pasta non deve necessariamente essere mangiata al dente. Lo scrive Julia Moskin, giornalista che con la sua inchiesta sulle molestie nei ristoranti di fine dining vinse il premio Pulitzer nel 2018. E sfata anche altri cinque miti sul prodotto tipico per eccellenza italiano.
La notizia è di alcune settimane fa ma è stata ripresa da poco da un quotidiano italiano. Noi di Cronache di Gusto abbiamo così contattato Alberto Zampino, amministratore delegato di Pastificio Gentile, l’azienda di Gragnano diventata punto di riferimento a livello mondiale nella produzione di pasta di grano duro. Abbiamo pensato di far commentare a un espertissimo del settore questi punti.
“Ci definiamo Fabbricanti di Maccheroni”, ci racconta prima di smontare alcune delle tesi scritte oltreoceano. Il suo pastificio produce ogni giorno 25 quintali di pasta su due turni e l’export, con principale mercato Stati Uniti tra i 60 in cui è presente, vale per il 50%. E a tal proposito ci anticipa che i formati di pasta preferiti dagli americani sono gli spaghetti e i paccheri.
Ma andiamo a vedere punto per punto le varie tesi scritte sul New York Times e commentate da Alberto Zampino.
La pasta va cotta al dente?
La giornalista pensa che questo sia un falso mito. Il modo americano di servire la pasta completamente cotta con il sugo sopra è diverso da quello italiano di servire pasta e sugo insieme. La pasta, secondo lei, andrebbe scolata secondo il proprio gusto personale. “Ad alcune persone piace un po’ di resistenza e alcuni formati sono piacevoli con un po’ di masticazione (come i bucatini). Altri vogliono che la pasta ceda immediatamente”.
Critico il commento di Zampino, che dissente completamente dall’idea: la pasta andrebbe mangiata al dente sia per una motivazione di carattere salutistico che tecnico e organolettico. La medicina dice che la pasta al dente è più digeribile. Quella più cotta perde maggiore amido che crea problemi alla digestione oltre alla fragranza. Le sostanze organolettiche che noi pastai ci scervelliamo di far mantenere scegliendo semola di grande qualità vanno a perdersi del tutto”.
La pasta non deve cuocere necessariamente in acqua in forte ebollizione
Il secondo falso mito preso in esame è quello di cuocere la pasta in acqua in forte ebollizione. “Nel 2009 – scrive nell’articolo – Harold McGee, scienziato culinario ed editorialista del Times, ha arruolato le regine della cucina italoamericana, Marcella Hazan e Lidia Bastianich, per testare la tradizione di mantenere la pasta a bollore. Da allora, molti esperti hanno riprodotto i loro risultati: non fa molta differenza se l’acqua bolle o sobbolle. La pasta secca cuoce a qualsiasi temperatura, da 180 a 212 gradi”.
Anche in questo caso Zampino risponde per le rime: “Io sono un grande tradizionalista in tutto ciò che faccio. La pasta è sempre stata cotta in acqua che bolle perché accelera la cottura e dà stabilizzazione. Cuocere la pasta a vapore ne altera la qualità”.
Quando aggiungere il sale?
Al giorno d’oggi, secondo l’autrice dell’articolo, non è necessario attendere l’ebollizione per aggiungere il sale.
Anche in questo caso Zampino non è del tutto d’accordo: “Il sale preferisco metterlo e consigliarlo dopo che l’acqua bolle perché si ottiene un effetto più immediato. Mettendo il sale a temperatura il processo viene accelerato. Secondo la nostra tradizione la pasta deve essere calata dopo la bollitura e il prodotto diventa così più sapido”.
L’acqua salata accelera la cottura della pasta?
Realtà o mito? “È vero che il sale innalza la temperatura di ebollizione dell’acqua, ma non a tal punto da cambiare qualcosa nei dieci minuti di media in cui cuoce la pasta. Se invece aggiungeste talmente tanto sale da riuscire davvero a ridurre il tempo di cottura, otterreste un primo davvero immangiabile”, dice Moskin.
Su questo punto Zampino si ritiene d’accordo.
Quanto salare l’acqua?
Qui entra in gioco un esperimento fatto dalla giornalista che sfata il mito che bisogna salare l’acqua della pasta con sale dell’Oceano, così come vuole tradizione americana: “Ho cucinato otto tipi di spaghetti con diversi livelli di sale, da nessuno a quello dell’Oceano Pacifico a quello del Mar Mediterraneo (dal 3 al 4%, ovvero circa mezza tazza di sale per litro): l’acqua di mare è troppo salata. Bisognerebbe salare quanto basta”.
Non si può che chiudere in bellezza: l’amministratore delegato di Pastificio Gentile è d’accordo: “Il sale così come lo zucchero bisognerebbe sempre utilizzarlo quanto basta”.