L'attesa è stata rispettata. Milena Gabanelli non si smentisce e ieri sera ha firmato una bella pagina di giornalismo. Il tema era la pizza.
Nulla di nuovo per chi conosce bene il mondo del cibo. Non è difficile sapere che l'80 per cento (temiamo anche il 90) delle pizze è immangiabile. Ma c'è un'esigua minoranza che non solo resiste ma tira fuori pizze di alta qualità a prova di inchieste come quelle di Report.
Che pizza mangiamo? Come viene cotta? Quali ingredienti? La partenza è bruciante e il servizio di Bernardo Iovine ci fa vedere le pizze annerite nelle basi dai forni poco puliti. Dischi di farina bruciacchiati, scope sporche di acqua nera dopo un solo passaggio sul forno e gli esperti che parlano della nocività, della presenza di idrocarburi, qualcuno si spinge oltre. “È come mangiare la pizza stando dietro un camion col motore acceso”. Sintetizzando: i forni a legna e la farina depositata dalle pizze stesse sviluppano fuliggine. Che finisce sulla pizza cotta. Ed è alta la nocività.
Ma la disamina è penetrante, va oltre. Come per i cartoni utilizzati per l'asporto. La Gabanelli è tranchant. Solo il cartone che resta bianco dopo averlo un po' scorticato è l'unico buono per il trasporto delle pizze. Guardate d'ora in poi se il colore del cartone è marrone o grigio. Questi due colori non vanno bene. Li comprano perchè costano meno. E denunciate quelli che li usano.
Lo scenario delle pizze surgelate vendute nei locali turistici a Venezia è devastante. Di pizza verace neanche l'ombra. Ma sono vendute come pizza. Si chiamano pizze. E nessuno dice nulla. Poi tocca alle farine, la doppio zero, quella più utilizzata è condannata senza appello. Quelle di qualità, quelle buone sono usate solo da un groppuscolo di pizzaioli coraggiosi che bada alla qualità. L'altra accusa riguarda l'olio. Tutti nel servizio televisivo, quelli intervistati almeno, ammettono di usare olio di girasole.
“È più leggero”, la risposta di tutti più o meno. Ma è falso. Solo l'olio extravergine di oliva garantisce qualità alla pizza e rende tutto anche salutistico. Ma non lo usano perchè costa caro. La mozzarella, poi, arriva dalla Germania, la salsa di pomodoro viene arricchita con il concentrato che giunge dalla Cina.
È tutta una gara a spendere poco per fare la pizza. La qualità non esiste, i consumatori non sanno quello che mangiano. La pizza-killer (perchè non si puó definire in altro modo una pizza che mette a repentaglio la nostra salute) è geograficamente trasversale: da Napoli a Milano, da Firenze a Venezia. E fa rabbia vedere che in realtà a fare una pizza buona con ingredienti di qualità si spenderebbero 50 centesimi, forse un euro, in più. Soldi che chiunque sarebbe disposto a spendere per mangiare sano e per mangiare bene. Ma la superficialità e la voglia di strafare senza nessun riguardo è più forte.
Questa è l'Italia. E questo è il modo di difendere uno dei nostri simboli più famosi del mondo. Nel servizio spuntano qui e là alcuni pizzaioli bravi che sanno come fare pizze buone e che si rivolgono con rispetto ai propri clienti. E per i gourmet, per chi è attento a ciò che mangia, è solo una piacevole conferma. Chi ci mette la testa in ciò che mangia sa come difendersi. E sa riconoscere le pizze buone e i pizzaioli onesti. Se c'è una critica da muovere al team della Gabanelli riguarda gli intervistati. I pizzaioli di qualità parlano poco. Per esempio a un certo punto fa capolino Gabriele Bonci, forse il più bravo interprete della pizza a taglio in Italia. A lasciarlo parlare avremmo saputo di più e avremmo scoperto che esiste un rovescio della medaglia. L'augurio tuttavia è che da oggi un bel po' di italiani decidano di ribellarsi. E lasciare vuoti quei locali che sfornano pizze-killer.
La pizza buona c'é. Esiste. E non è difficile riconoscerla. Peccato però che in quest'Italia in declino ci siano troppi furbi e imbroglioni desiderosi di scorciatoie. Anche per una Margherita di pochi euro.
F.C.