Passeggiare nei supermercati è una cosa che mi piace, mi rilassa. Ponderare sulle scelte alimentari, immaginare come e cosa mangiano le persone è come entrare nella loro vita.
E’ un esercizio di sensibilità. Quando sono all’estero è poi un momento irrinunciabile, per me puro divertimento.
Sabato scorso mi trovavo in Germania ad Augsburg (Augusta), a mezz’ora da Monaco di Baviera. Sono entrato in un esercizio della grande distribuzione, un supermercato Edeka, una catena importantissima con migliaia di negozi. Pur Gdo, i prodotti esposti hanno una qualità maggiore della media, non posso negarlo.
Ero stato attirato da un superbo mazzetto di asparagi bianchi, tedeschi, belli ciccioni, una vera prelibatezza per chi li conosce. E’ la stagione. Semplicemente lessi e conditi con un pezzettino di burro, prezzemolo fresco e qualche cristallo di sale è un piatto raffinato e delicatissimo. E così, alla ricerca di un degno panetto di burro, sono passato davanti al banco dei formaggi. Lì in bella mostra, il re dei formaggi italiani: il Parmigiano-Reggiano. Con mia sopresa leggo che la marca è “Trentin”, un’azienda con sede a Cerea, in provinia di Verona. E qui devo confessare che mi sono irrigidito perché strattonato dalla confusione più totale.
Non occorre essere degli esperti o conoscere a menadito il disciplinare del Parmigiano per sapere che è un formaggio prodotto in Emilia-Romagna, più precisamente nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna (alla sinistra del fiume Reno, quello italiano) e Mantova (alla destra del fiume Po).
Ma se così è, a cosa servono le regole, la tracciabilità, i disciplinari di produzione, la lotta sulla filiera, il rispetto della tradizione, se poi un Parmigiano-Reggiano si chiama “Trentin” e viene prodotto (o solo confezionato? Il consumatore percepisce la differenza?) in provincia Verona?
E poi, chi ci protegge all’estero? Chi protegge i marchio Italia e i produttori migliori che con sacrifici ne mantengono alta l’immagine? Possibile che il Consorzio del Parmigiano non difenda la chiarezza? Il consumatore, sia chiaro, ha come unico mezzo di conoscenza l’etichetta, ed è giusto che questa sia di “cristallina trasparenza” evitando con fermezza anche i banali equivoci. Anche se alla fine non l’ho capito, sicuramente è tutto regolare e il formaggio che ho visto è prodotto nei suoi luoghi d’origine come la Dop richiede.
Non me ne vogliano i “Trentin” (ho scoperto dal sito internet che è il nome della famiglia), ma perché mettere il proprio nome così grande su un prodotto Dop di un’altra regione? Occorre solo un pizzico di buon senso.
Una “Buona Italia” – fortunatamente lo è – non si costruisce con la confusione. Anche se la legge lo permette.
Francesco Pensovecchio