Una rivoluzione silenziosa. Ma che sta producendo alcuni effetti. L'obbligo di indicare in etichetta la provenienza del latte nei prodotti caseari venduti in Italia introdotto lo scorso 19 aprile non sta passando inosservato.
Anche perché noi italiani siamo i più attenti in Europa a leggere le etichette. E l'industria casearia ormai è costretta ad indicare la provenienza del latte (per l'esattezza il luogo di mungitura) e la località di trasformazione del latte stesso. Una bella cosa, diciamolo. Ma aspettiamoci che Bruxelles ci renda la pariglia con qualche regolamento contro il Made in Italy. Ormai abbiamo compreso che con l'Unione Europea è tutto un gioco di difficili equilibri. Se come Paese membro ottieni qualcosa per te poi dovrai cedere qualcosa in qualche altro campo.
Su suggerimento di un amico siamo andati in un supermercato ed abbiamo cominciato a visionare un po' di fiordilatte industriali nel banco frigo. Tutte prodotte in Italia, ma nessuna ottenuta da latte italiano. Nella maggior parte dei casi il latte arriva da un paese dell'Unione Europea. Può essere la Germania, l'Inghilterra, la Francia. Ma anche la Romania, la Bulgaria, la Polonia. In pratica si scopre che l'industria casearia si rifornisce di latte solo all'estero. E tutto questo spiega anche perché il numero di stalle e di allevatori si sia drasticamente diminuito negli ultimi anni in Italia. L'industria casearia ha preferito comprare latte all'estero a prezzi più vantaggiosi. E gli allevatori italiani non hanno retto a una concorrenza spietata. Molti sono finiti a gambe all'aria.
Questo provvedimento si applica a tutti i tipi di latte, vaccino, ovi-caprino, bufalino e di altra origine animale. Le etichette dovranno prevedere, sia nelle confezioni di latte e dei prodotti lattiero caseari il nome del Paese in cui il latte è stato munto, e quello in cui è stato condizionato o trasformato. Nel caso in cui tutti i processi avvengono nello stesso Paese basta indicare ad esempio “Origine del latte: Italia. Ma abbiamo notato che spesso trovare queste indicazioni in etichetta è una vera impresa. Munitevi di pazienza e, in alcuni casi, anche di una lente di ingrandimento. Ed in ogni caso questo nuovo obbligo non garantisce la qualità del prodotto ma una maggiore trasparenza. Che comunque non è poco.
Abbiamo scoperto inoltre che sulle confezioni di fette di formaggio fuso (tanti i marchi industriali presenti nel banco frigo) non vi è obbligo di indicazione sull'origine del latte. Questa ve la dice lunga sul tipo di prodotto che state acquistando. Non è considerato un formaggio. Serve aggiungere altro? È utile sapere che per i formaggi a marchio Dop non c'è obbligo di indicazione sull'origine del latte. D'altra parte sarebbe stato superfluo dire da dove arriva la materia prima. Se è Dop può arrivare solo dal luogo di produzione. E per fortuna tutta l'Italia è ricca di begli esempi e, furbetti a parte su cui ci auguriamo sempre controlli severissimi, si può stare tranquilli. E le Dop sono una garanzia di tracciabilità.
Il ragionamento sulle Dop ci porta ad un'altra considerazione. Quando leggete sull'etichetta di un formaggio che il latte arriva da un altro Paese significa anche che quel formaggio non è prodotto con latte crudo, ma ha subìto un trattamento termico che gli ha consentito di percorrere migliaia di chilometri. Tutto questo a scapito della qualità del formaggio e delle sue caratteristiche organolettiche che possono essere garantite solo dal latte crudo. Il quale può percorrere al massimo solo una manciata di chilometri se é destinato a diventare un formaggio. E così sovviene una domanda che è rivolta ai nostri lettori. Ma voi, ora che ne siete informati, mangereste una fiordilatte ottenuta da latte polacco?
F. C.