Da un lato la forte e incontrastabile siccità, dall’altro gli attacchi della fauna selvatica e in particolare dei colombacci. Quest’anno dovremo dire addio alle lenticchie di Ustica. Sono fiore all’occhiello dell’agricoltura siciliana e presidio Slow Food dal 2000 ma quest’anno non c’è prodotto da vendere e il patrimonio rischia di perdersi del tutto. Con la prossima stagione, quella del 2025, c’è già chi è intenzionato a non seminare.
“La mia azienda – ci racconta Margherita Longo, dell’azienda agricola Hibiscus – è riuscita a raccogliere solo la quantità necessaria per la semina”. Un prodotto ricercato per le sue caratteristiche. Un legume piccolo, marrone con striature verdi. Le tecniche di coltivazione sono fatte nel rispetto dell’ambiente e della natura, difatti non si utilizzano né concimi, né erbicidi di sorta: le erbette infestanti si tolgono con una zappetta. E poi è un prodotto che non necessita di ammollo a differenza di quelle commerciali, oltre a cuocere in appena tre quarti d’ora. Ma soprattutto è un legume pregiato. Basti pensare che il prezzo al consumatore finale arriva intorno ai 20 euro chilo. E se si torna a quattro anni fa il dato che emerge oggi sembra solo un brutto incubo. Nel 2020 il raccolto è stato da record e si aggirava intorno ai 300 quintali: “Si coltivavano e producevano lenticchie ovunque nell’isola”, ci racconta Giuseppe Mancuso, responsabile del presidio e produttore nell’azienda di famiglia Pagliuzzo. “Mai ricordo un’annata così devastante, in alcuni campi non è rimasto assolutamente nulla”.
C’è chi riesce a sopperire alla mancanza di lenticchie con la coltivazione di altri prodotti: “Questo per noi – ci dice ancora Margherita Longo – è un danno economico non indifferente. Nella mia azienda siamo fortunati perché siamo multifunzionali e non basiamo il nostro lavoro solo sulle lenticchie”. Ed infatti Hibiscus produce anche frutta e ortaggi e ultimamente produce vino premiato in più occasioni.
Come avevamo raccontato in questo articolo, le lenticchie di Ustica (quando ci sono) non si fermano sull’isola ma viaggiano per essere trebbiate. Le piante vengono solitamente raccolte in una sorta di fazzoletto e portate dove si trova la trebbia. Per la pulitura e quindi la rimozione di paglia, fieno e impurità il prodotto viene caricato in un camion che arriva a Palermo con un traghetto. Ci si imbarca poi in direzione Napoli, da dove arriveranno a Salerno, in cui si trova un impianto adatto a questa operazione.
Ma quest’anno non sarà così. “Se ci fosse stata solo la siccità avremmo avuto almeno il 40% del raccolto. Ma dobbiamo fare i conti con la fauna selvatica”, dice ancora Giuseppe Mancuso. “Il poco che è rimasto è stato preso di mira dai colombacci che con l’effetto della siccità si sono riversati sui terreni coltivati. In alcuni campi non è rimasto nulla”. Ustica, oltre a essere un’Area Marina Protetta, è anche una Riserva Naturale Orientata terrestre.
C’è anche chi è disperato perché vive grazie alle lenticchie. È il caso di Domenico Palmisano, uno dei tre grandi produttori, dell’azienda A Punticedda: “Il prossimo anno abbandonerò la semina delle lenticchie e mi concentrerò solo sugli ortaggi. Ma dovrò capire se i colombacci attaccheranno anche questi, altrimenti sarò costretto a cambiare mestiere”.
Mancuso ci racconta come di 460 chili di lenticchie pulite alla fine della trebbiatura sono stati raccolti 410 chili di prodotto sporco, molto meno di ciò che è stato seminato. “Mi ritengo fortunato perché posso riseminare ma molti piccoli agricoltori non lo faranno più”.
Un’annata che si chiude completamente in rosso. E pensare che il giro d’affari ha superato, in tempi di buona raccolta, i 150mila euro. Basta questo dato per comprendere il danno. “Cosa chiediamo? L’intervento della pubblica amministrazione per ridurre il peso della fauna selvatica”, attacca Mancuso. “Se il prossimo anno non riusciamo a seminare è a rischio il nostro prodotto perché si perderebbe il germoplasma della lenticchia di Ustica che è un seme che autoproduciamo. In questo momento storico la gestione fauna selvatica è sfuggita di mano, sia a livello nazionale che regionale”.
“Abbiamo provato a parlare e a chiedere aiuto – dice Palmisano – ma è un grido inutile, siamo stati abbandonati. Non abbiamo una riserva quindi il prodotto finirà inevitabilmente di esistere”.
Strategie per il contenimento, ma anche aiuti concreti agli agricoltori che sono disincentivati dai numeri a continuare a lavorare. “Per la siccità non abbiamo strumenti, contro la fauna selvatica sì e per questo motivo sono molto amareggiato. Stiamo perdendo un patrimonio importantissimo”, conclude Mancuso. E intanto chi ha comprato il prodotto lo scorso anno dovrà tenerselo stretto e centellinarlo più che può. Perché potrebbe non riuscire a comprarlo più.