Il cibo come strumento privilegiato di condivisione, rispetto e conoscenza. La conoscenza come strumento privilegiato di business a favore delle imprese.
Questo il messaggio del seminario promosso da Confagricoltura sulle certificazioni Halal e Kosher, le certificazioni alimentari, ma non solo, che garantiscono il rispetto delle regole musulmane ed ebraiche a tavola. Kosher significa letteralmente «adatto», halal «lecito». Entrambi si rivolgono ad una fascia di consumatori, per alcuni aspetti coincidenti, in continua crescita. «Quello kosher – ha spiegato Pietro Busconi, esponente di Orthodox Union, il più grande ente mondiale di certificazione kosher – è un segmento di mercato che nel mondo vale attualmente 150 miliardi di dollari, con numeri in continua crescita, specie sul mercato statunitense».
Solo negli Usa il mercato alimentare kosher vale 12,5 miliardi di dollari, che dovrebbero diventare 17 nel 2013. Dal 2003 al 2008 il segmento è cresciuto del 60%, con un’ascesa media annua del 12% (contro l’1-2% degli alimentari generici). Attualmente 1 americano su 5 acquista abitualmente prodotti kosher. Di questi solo una piccola fetta è rappresentata da consumatori di religione ebraica: musulmani, vegetariani, indù, allergici, ma anche tutti gli altri cittadini attenti alla qualità del cibo scelgono prodotti kosher. Il 62% dei consumatori Usa, ha affermato Busconi, acquista kosher per la maggior qualità; il 51% perchè ritiene i prodotti più salubri; il 34% per la garanzia di sicurezza e controllo. Non basta: dalle analisi presentate da Orthodox Union, chi acquista kosher spende in media il 60% in più di chi compra prodotti non certificati (budget di spesa di 74 dollari, contro 44). «Attualmente negli Usa – ha concluso – 18 mila supermercati hanno prodotti certificati kosher, per un bacino di 75 milioni di consumatori. Per le aziende italiane si tratta di un’opportunità di affiancare la reputazione made in Italy con la richiesta di sicurezza e garanzia che proviene dal consumatore».
Discorso analogo, anche se in parte differente, per il mercaro halal, che oggi, ha detto Isa Nicola Benassi di Halal Italia, vale 2 mila miliardi di dollari, di cui 70 miliardi solo in Europa (5 in Italia). La certificazione musulmana, a differenza di quella ebraica, può contare non solo sull’export (musulmani circa 20% popolazione mondiale), ma anche su un mercato interno in continua ascesa. Attualmente i musulmani in Italia sono circa 1,5 milioni, ma la popolazione è destinata ad aumentare e con essa la richiesta di cibo «lecito». Estremamente dinamici, inoltre, i mercati d’Europa, Stati Uniti, Sud Est asiatico, oltre a tutti i Paesi a maggioranza musulmana, dove il cibo made in Italy è già sinonimo di qualità. «Come confederazione – ha concluso Mario Guidi, presidente di Confagricoltura – cerchiamo di aiutare le nostre aziende associate a intercettare i nuovi trend di mercato, venendo incontro alle richieste dei consumatori».