Ho appena letto di una pizzeria che ha presentato nuovi tipi di impasto. Poco prima mi ero imbattuta in un articolo nel quale si raccontava dei piatti di uno chef cittadino. Notizie lette con la mestizia di chi, da un paio di mesi, è costretta a seguire un regime alimentare segnato dalle intolleranze. Chi si occupa di gastronomia e trascorre molte delle sue giornate a mangiare e bere fuori casa, sa che, talvolta, è necessario uno stop, una pausa per resettare l’organismo. Ecco, io sto facendo una sorta di tagliando che impone di bandire glutine e lattosio dalla mia dieta per un paio di mesi. La mia è una condizione a termine, mi auguro, ma mi ha avvicinata molto al mondo dei “senza”, aiutandomi a capire ed empatizzare con quanti, invece, con questa condizione allergica o intollerante, devono convivere per sempre.
E a fronte dei tanti chef e pizzaioli che creano nuovi impasti e nuovi menu, ce ne sono pochi che pensano agli allergici o agli intolleranti inserendo nella loro carta piatti gustosi e golosi per il mondo “senza”. La regola non scritta che vige nella maggior parte dei locali – l’ho sperimentato personalmente –, è che se hai un problema di allergia, dalla cucina la faccenda viene risolta nella maniera più spicciola possibile, togliendo dal piatto l’ingrediente incriminato, senza pensare ad un riequilibrio del gusto. Il risultato è che ti arriva in tavola una pietanza monca, squilibrata che ti fa passare la voglia di mangiare fuori casa.
Naturalmente ci sono le eccezioni – io ne ho sperimentate un paio – e in questi casi a fare la differenza è la sensibilità dello chef rispetto al problema e l’elasticità di pensare ad ingredienti sostitutivi in caso di commensali con problemi.
Eppure, come scriveva il Sole 24 Ore lo scorso aprile, nel nostro Paese le allergie alimentari nei bambini sono aumentate del 34 per cento in dieci anni. Le intolleranze più comuni sono quelle al latte, al grano, all’uovo e alla soia. Sono dati noti o che si possono reperire facilmente facendo una ricerca su internet. Mi chiedo allora perché in cucina non si sia così lungimiranti ed inclusivi da pensare a piatti ricchi e buoni anche per chi non può mangiare glutine, latticini, soia, frutta secca, crostacei…?
Nei giorni scorsi mi sono trovata nella paradossale situazione di un pranzo di lavoro con buffet di antipasti a me vietati e la zelante cameriera che mi ha portato al tavolo un piatto con due fettine di prosciutto crudo e quattro olive: “signora questo è per lei”.
O, ancora peggio, qualche giorno dopo mi è capitato di sedermi al tavolo di un ristorante che avevo avvisato la sera prima delle mie (temporanee) intolleranze, sentendomi rispondere che non c’era nessun problema, avrei potuto scegliere tra antipasti e secondi piatti. Ok, va bene. E poi, arrivo a cena e scopro che la mia scelta si riduceva a due antipasti e due secondi modificati con la logica del senza. Con l’aggravante che per i piatti “senza”, c’era un sovraprezzo… Dunque togli degli ingredienti che non sostituisci con altri e mi fai anche pagare di più?! No, così non va e al danno si aggiunge la beffa! Uno dei piatti che ho mangiato era con zucca e noci. La versione “completa” prevedeva anche del formaggio che in questo periodo, come dicevo, non posso mangiare e che loro hanno tolto su mia richiesta, senza sostituirlo con altro.
Non parliamo poi dei dessert. Non mangio dolci da quando è iniziata questa dieta forzata perché è complicatissimo trovare qualcosa di buono nel mondo senza.
Dopo due, tre, quattro episodi di questo genere, la decisione sorge spontanea: non mangerò più fuori casa fino alla fine della dieta. Perché anche se tu cerchi di vivere questa condizione con naturalezza e buon umore, chi ti fa arrivare al tavolo un piatto monco e triste, inevitabilmente sottolinea la tua diversità alimentare. Se io avessi un ristorante ci rifletterei un po’ su. Le allergie aumentano, fatevi furbi e guadagnatevi una bella fetta di mercato, con gusto.
Intanto io affronto il mio prossimo mese “senza” ma vi confesso che, parafrasando Caparezza, “trovo molto interessante la mia parte intollerante…”.