Manca poco al verdetto che potrebbe chiudere definitivamente il caso che da mesi sta catalizzando l'attenzione dei collezionisti di vono e ristoratori di tutto il mondo.
In questi giorni si è tenuto a New York il processo a Rudy Kurniawan, all’U.S. District Court, tenuto dal giudice Richard Berman e che ha visto in giuria 12 tra esperti di vino. Kurniawan è un personaggio che ha agito nel lussuoso mercato dei fine wine piazzando decine di migliaia di prestigiosissime etichette false, tra cui i più famosi Bordeaux, prendendo in giro case d’asta e facoltosi investitori. Il caso ha mosso anche l'Fbi, che nel marzo del 2012 ha messo sotto sequestro il laboratorio trovato nella casa dell'imputato ad Arcadia, in California, dove il collezionista e venditore indonesiamo replicava abilmente le icone del gotha enologico mondiale.
Per due giorni, nell'aula del tribunale accusa e difesa hanno portato le loro prove. A testimoniare contro Kurniawan Michael Egan, che per 23 anni ha lavorato per la casa d’asta Sotheby’s e che ha autenticato nella sua lunga carriera ben 10mila bottiglie di fine wine. Ai giurati e al giudice, Egan ha mostrato dove si insinuava una delle prove che evidenziavano il “fake”, esattamente nella faccia interna dell’etichetta di uno dei vini da lui contraffatti che riportava il nome di una stampante prodotta in Indonesia. Egan è stato chiamato come testimone chiave nel processo, è uno degli esperti che ha smascherato, per conto di alcuni suoi clienti, le bottiglie contraffatte da Kurniawan. Su 1433 vini esaminati dal 2006, avrebbe trovato che ben 1077, quindi oltre il 70%, erano stati acquistati dall’indonesiano. Domaine de la Romanée – Conti , Domaine Roumier , Domaine Ponsot , Domaine Comte Georges de Vogue, Petrus, Château Mouton Rothschild, solo alcuni dei luxury brand che uscivano dal suo laboratorio.
Kurniawan, per contraffare le etichette, avrebbe utilizzato delle scansioni digitali su cui apponeva l'annata, la firma del produttore, il numero seriale. Dall’esame delle mail ritrovate nel computer sequestrato dagli agenti dell’Fbi, il collezionista usava comprare bottiglie di vini Borgogna economici, come quelli prodotti da Patriarche and Louis Remy, e di annate vecchie per poi spacciarli o utilizzarli nei blend che sarebbero usciti come grandi rossi francesi. Nel repertorio della corrispondenza sono stati trovati anche scambi di mail con Eric Greenberg, uno dei magnati del settore dell’Hi-Tech e dell’Information Technology a San Francisco che ha collaborato con case d’asta, anche lui invischiato in processi per avere favorito il commercio di falsi fine wine.
Per anni il falsario ha potuto concludere ricchi affari indisturbato, nonostante avesse il permesso di soggiorno per gli Usa scaduto dal 2003. Rischia 40 anni di carcere. Le tesi espresse dal team della difesa, rappresentato da Jerome Mooney, non avrebbero convinto la giuria. Tra le prove portate davanti al giudice, quella che dimostrerebbe una differenza di esecuzione nel lavoro di contraffazione che riconduce a mani diverse, e non a quella di Kurniawan. E a discolpa del proprio cliente, definito vittima di un sistema più grande di lui, Mooney avrebbe dichiarato in merito all'evidenza della falsificazione che questa, praticata solo su alcune bottiglie, “sarebbe stato un mero atto per impressionare, fare colpo, su alcuni ricchi e facoltosi amici della sua nuova cerchia e non per rubare denaro”.