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Il caso

Il nome Sicilia accanto alla Doc Pantelleria. Lo vuole il consorzio, “no” del sindaco e soci divisi

01 Giugno 2019
campo campo

Infuriano le polemiche. Da un lato il presidente Renda: “Col nome Sicilia in etichetta maggiori opportunità commerciali”. Il sindaco e alcuni produttori: “Non ci stiamo, così si smantella l’identità e la particolarità del nostro territorio”


(Vincenzo Campo e Benedetto Renda)

di Francesca Landolina

Il consorzio vuole consentire l’aggiunta del nome Sicilia accanto alla Doc Pantelleria. Ma la proposta spacca i soci e fa infuriare il sindaco dell’isolotto sospeso tra l’Europa e l’Africa. 

Nei dettagli c’è una proposta di modifica del disciplinare della Doc Pantelleria: si vuole introdurre alla denominazione “Pantelleria”, anche l’uso dell’unità geografica più ampia, ovvero “Sicilia”, così come previsto dalla Doc Sicilia. Un’aggiunta che resterebbe facoltativa e non obbligatoria. Oltre alla possibilità di utilizzare la menzione “Zibibbo” nella tipologia “Pantelleria Bianco Doc”. L’assemblea dei soci si riunirà il 15 giugno, dopo un primo tentativo mancato, la scorsa domenica, giornata di elezioni europee. Ma è bastato un primo incontro del Cda del Consorzio con il sindaco per scatenare le prime polemiche. A dire di “no” alla proposta di aggiungere la menzione “Sicilia”, è soprattutto il primo cittadino di Pantelleria, Vincenzo Campo, che tecnicamente non ha voce in capitolo perché la decisione spetterebbe esclusivamente ai soci del consorzio. Tuttavia è una voce, quella del sindaco, che non si può trascurare. “La proposta, sostenuta dalle motivazioni che si trovano scritte in un comunicato stampa del Consorzio, alquanto deboli, è un pericolo per il prodotto isolano, per l’identità e per la valorizzazione della Doc Pantelleria”, spiega il sindaco a Cronache di Gusto. 

Ma facciamo un passo indietro. Oggi il Consorzio di Vini Doc Pantelleria, che vanta una lunga storia di viticoltura eroica e il riconoscimento dell’alberello pantesco come patrimonio dell’Umanità per l’Unesco, conta tra i suoi soci 325 viticoltori e 8 cantine e rappresenta l’85% della produzione Doc dell’isola (dati della vendemmia 2018). Qualche giorno fa è stato divulgato un comunicato stampa nel quale si parla della proposta di modifica del disciplinare, con un titolo che dice: “Vini Doc Pantelleria, Renda: “Più tutela e promozione per affrontare la sfida del mercato”. Al suo interno si riporta poi la proposta sostenuta da due motivazioni, che lo stesso presidente del Consorzio Benedetto Renda, che è anche amministratore delegato di Cantine Pellegrino, argomenta: “Oggi il Consorzio produce 1,4 milioni di bottiglie circa tra le varie tipologie. La proposta nasce con lo scopo di valorizzare meglio l’isola e con l’obiettivo di farla conoscere all’estero, dove si fatica a vendere vini dolci. Presentarsi con il marchio Doc Sicilia, che è comunque facoltativo e non obbligatorio, significa avere la possibilità di esprimere tutte le potenzialità dell’isola anche dal punto di vista commerciale. All’estero oggi vendiamo appena il 10 per cento, troppo poco. Il brand Pantelleria non è così efficace quanto il marchio Sicilia, che invece ha un forte appeal; gli stranieri spesso non sanno neppure individuare geograficamente la posizione di Pantelleria. E la possibilità di aggiungere la dicitura Sicilia va vista come un valore aggiunto, ci dà una forza che da soli non abbiamo. Ci permette in più di abbattere i costi, avvalendoci dei servizi di vigilanza effettuati dal Consorzio Doc Sicilia”. 

Pantelleria non sarebbe certo la prima denominazione a tentare di avvantaggiarsi sotto il cappello “Doc Sicilia”. Come lo stesso Renda fa notare: “Tra le Doc territoriali presenti nella nostra regione, diverse hanno già modificato il proprio disciplinare prevedendo questa possibilità”. E cita Vittoria, Menfi, Contea Sclafani, Contessa Entellina, Noto ed Eloro. “E lo ha fatto anche la Docg Cerasuolo di Vittoria”. Ma non è così per tutte, basti citare l’Etna, un territorio che può vantare una sua identità molto forte e ben delimitata. “Lì sono molti di più i produttori – commenta Renda – non possiamo paragonarci numericamente a loro, abbiamo una forza diversa; oltretutto mi pare che anche l’Etna stia percorrendo la strada della Doc Sicilia”. 

Poi prosegue a spiegare le motivazioni della proposta, puntualizzando: “La nostra non è una sottomissione. Vogliamo solo offrire una possibilità, nessuno è obbligato. Potrei deciderei anch’io di non scrivere Sicilia in etichetta, ma in questo modo ci diamo almeno l’opportunità di essere più forti sul mercato globale. Credo che la Sicilia possa fare da traino. Non farei nulla per danneggiare Pantelleria. Al contrario, penso che così facendo poniamo l’isola su un piedistallo, facendola diventare il fiore all’occhiello della Sicilia. Vorrei poter arrivare a vendere due milioni di bottiglie all’estero, ma c’è bisogno del supporto di tutti e non capisco perché ci siano tante ostilità e polemiche. Come si può dare voce a chi il mondo del vino non lo conosce, a chi non ne vive la realtà?”. 

È chiaro il riferimento al dissenso del sindaco, anche perché Campo non ha usato mezzi termini. E ha espresso la volontà di voler chiedere un parere all’Ugivi, l’Unione giuristi vite e vino che proprio oggi tengono a Pantelleria una importante assise. “Chiederò ai giuristi di sapere se le mie affermazioni di contrasto sono sbagliate o se le motivazioni portate avanti dal consorzio portano qualche beneficio agli agricoltori – afferma – A me interessa il patrimonio pantesco e la tutela della Doc. Non sono, ad ogni modo, l’unico a dissentire, penso che anche il Parco Nazionale sia in disaccordo. Di certo e vi dico perché: le tesi a sostegno della modifica non sono da considerare così importanti. Il compito del Consorzio è sicuramente quello della tutela, ma non attraverso questa strada, che cambierebbe tutto, compresa l’identità di Pantelleria, e le sue tradizioni vitivinicole che la rendono una realtà distinta dalla Sicilia. La proposta di modifica va a sdoganare l’isola. Il nostro è un prodotto di nicchia che non va mischiato alla Doc Sicilia”. E aggiunge: “Abbiamo la fortuna di avere all’interno del Consorzio e nell’isola due cantine grandi come Donnafugata e Pellegrino, che da sole potrebbero trascinare il prodotto di nicchia all’estero e fare da traino, senza bisogno della menzione Doc Sicilia in etichetta”. Chiarisce: “Se la proposta fosse arrivata dalle piccole aziende e dai piccoli viticoltori, allora avrei potuto capire, perché avrei pensato che si sentono troppo deboli per competere all’estero. Ma come giustifico una tale proposta se è sostenuta principalmente dalle poche grandi aziende che captano per il 70 – 80 per cento circa del prodotto Pantelleria? Su una produzione di circa 22 mila quintali di uva, più del 50 per cento è acquistato da una sola azienda”. 

Le motivazioni a sostegno della modifica, secondo Campo, sono infondate, e durante l’intervista fa un po’ mea culpa da pantesco: “Se siamo arrivati fino a qui, in fondo, è per colpa del cittadino pantesco, perché in passato abbiamo avuto diverse occasioni per valorizzarci con cooperative, ma le abbiamo perse, le abbiamo lasciate sfumare. Oggi i viticoltori panteschi si trovano in una posizione difficile, sono timorosi ad esprimere un disaccordo, per paura di non vendere l’uva, che in grandissima parte è acquistata dalle grandi aziende. Ciò che si decide oggi, tuttavia, cambia il futuro”. E riguardo alla motivazione dell’abbattimento dei costi attraverso la sinergia con la Doc Sicilia, aggiunge: “Forse dei servizi di controllo effettuati dal Consorzio Doc Sicilia non ce ne possiamo avvalere ugualmente attraverso la richiesta di un rapporto di consulenza? Perché sdoganare Pantelleria? Quali sono le vere motivazioni?”.

Anche alcuni produttori manifestano dissenso contro il consorzio. Tra questi Sebastiano De Bartoli, della cantina De Bartoli, molto nota e apprezzata nel mondo del vino grazie alla rivoluzionaria visione del fondatore, Marco De Bartoli.  “Questa notizia mi suona nuova e contraddittoria rispetto alla volontà che lo Zibibbo diventi Zibibbo di Pantelleria Doc, una volontà sempre espressa da tutti. Adesso, che facciamo? Andiamo in direzione opposta? Una vera contraddizione – afferma – Si dice una cosa, se ne fa un’altra. E si vuole cosa? Forse che lo Zibibbo di Pantelleria diventi Doc Sicilia? Chi vuole fare il solito gioco di mettere tutto in un unico pacchetto, forse lo fa per facilitare gli obiettivi commerciali, per facilitare le vendite, ma generalizzando non tuteliamo Pantelleria, non riconosciamo la sua patria potestà, che deve avere più forza e più peso”. E riguardo alla tesi dei costi da abbattere, commenta: “Costi? Di quali costi parliamo? Quattro euro per l’imbottigliamento? A me sembrano scuse per rafforzare scelte facili. Si fa il doppio gioco: prima le riunioni per buoni presupposti e poi alla resa dei conti quando si legifera si cercano escamotage contrari e opposti. Se generalizziamo sul passito di Pantelleria, aggiungendo la dicitura Doc Sicilia, facciamo solo un danno. Tra l’altro il Sicilia Passito Doc esiste già. Così cancelliamo la storicità di un territorio”. 

Della stessa opinione è Battista Belvisi, patron della cantina pantesca Abbazia San Giorgio: “Secondo me le Doc hanno uno scopo che è opposto a quello della proposta del Consorzio ed è quello di delimitare non di allargare – afferma -. Pantelleria non è Sicilia, ha storia e origini a sé. Personalmente, andrei nel senso opposto e farei una Docg Pantelleria. Ora la modifica proposta, non so che conseguenze o benefici potrebbe apportare, se li apporterebbe, ma mi viene da riflettere: la Doc Pantelleria ha una storia, nasce prima della Doc Sicilia; ha anche una tradizione di viticoltura eroica e un riconoscimento Unesco per l’alberello, patrimonio dell’Umanità. Qui da sempre si coltiva lo Zibibbo, da tempi lunghissimi, da generazioni, lo stesso che hanno portato in Sicilia. E adesso? Completiamo l’opera di smantellamento”?