Pochi oggetti nel mondo del vino sono polarizzanti come il decanter. Da un lato i #decanterscettici per cui questo coso è snobberia inutile, (e difficile da lavare), per altri, i #decanterentusiasti un must, senza cui il vino non si riesce a degustare veramente. La notte di capodanno, mentre il mondo brindava intrepido al futuro, una foto, pubblicata sui social da un wine writer della west coast Owen Bargreen (ecco il post>) ha fatto il giro del web, suscitando un dibattito a tratti feroce: un Crystal 2014 nel decanter. Ora nessuno auspica che ogni volta che si stappa un metodo classico ci debba essere un decanter a portata di mano, il feticismo annoia, ma che molte volte il decanter possa migliorare la qualità di un’esperienza gustativa è altrettanto auspicabile. Io, per esempio, mi definisco un decantatore situazionista.
Ovviamente il decanter deve, se è possibile, essere tenuto nel frigo di modo che sia alla stessa temperatura della bottiglia, in modo da non aggiungere allo shock dell’ossigeno quello del repentino sbalzo termico, che creerebbe un’esplosione repentina delle bolle, destinata a spegnersi quasi immediatamente. Ovviamente anche in questo modo, l’effervescenza di uno champagne decantato non sarà mai la stessa di quello non decantato, ma forse, se al posto della conviviale e fanciullesca effervescenza, nello champagne si potesse (o dovesse) cercare anche altro? Se forse da vini che hanno trascorso anni sulle fecce fini, si potessero, oltre il fuoco di sbarramento della bollicina fitta, trovare emozioni nuove, vinose e bellissime? Il mondo dello champagne negli ultimi anni è cambiato moltissimo: nuovi stili e nuovi nomi si sono affermati, stili che hanno contribuito a mutare, non solo le caratteristiche organolettiche del liquido ma anche la sua percezione.
Premesso che un grande vino, a prescindere dalla tipologia, figlio di grandi uve e affinamenti importanti, (come il Crystal 2014 che ha scatenato il dibattito), ha sempre da guadagnare da modalità gustative, più slow, e meditative, il vero punto è che il decanting può esaltare nel modo giusto gli champagne di nuova generazione. Forse per amare davvero la new wave sudista, degli champagne a base pinot nero che flirtano con le ossidazioni, certi meunier in purezza fieramente rustici, in pratica tutto quello che è lo champagne del terzo disperato millennio, il decanter può essere un alleato prezioso. Champagne (forse) sotto le bolle c’è di più: a nuovi stili enologici dovrebbero corrispondere nuovi stili di servizio, una volta e si spera per sempre liberato dai flûte (leggi qui>), libereremo lo champagne anche dalla bottiglia? Varrebbe la pena perdere qualcosa in termini di effervescenza, per apprezzare tutto il resto, sfumature olfattive nuove, dinamiche gustative al palato, che ci sembravano impossibili? Il decanter può essere incubatore di sensazioni, una scatola magica, capace di amplificare sensazioni che, prima, erano solo sussurrate, quasi inaudibili. Con l’aiuto di questi strani oggetti di cristallo potremmo scoprire, udite udite, che lo champagne oltre (e prima) che un grande vino spumante, semplicemente, ma mai prosaicamente, è anche un grande vino.