di Stefania Petrotta
È un grido di aiuto quello che raccogliamo da Alberto Battaglia, referente produttore dell’albicocca di Scillato, presidio Slow Food dal 2014 in provincia di Palermo.
Una storia che inizia nel 2013, quando il comune di Scillato decide di organizzare un corso per operatori agricoli per stimolare i giovani a interessarsi del proprio territorio e a non abbandonare l’albicocca di Scillato, una varietà locale precoce, dal frutto piccolo e spesso sfaccettato di rosso, molto profumato e dal sapore intenso. Da lì, anche grazie ai contatti con gli enti locali, sopra tutti l’Università degli Studi di Palermo che organizza un corso ad hoc per i giovani del territorio, e soprattutto grazie all’aiuto del professore Francesco Sottile che li introduce al mondo di Slow Food e li aiuta a trasformare il prodotto in confettura col fine di farli partecipare al Salone del Gusto di Torino, parte l’avventura. È proprio a Torino che i ragazzi si rendono effettivamente conto di quanto valga il prodotto, anche perché ne misurano l’eccellenza attraverso l’apprezzamento di consumatori colti ed abituati a ricercare prodotti di qualità. Ed è da lì che decidono di investire le proprie vite a Scillato e di tornare a lavorare la terra recuperando gli impianti già esistenti, chiedendo agli anziani del paese di occuparsi della cura dei loro giardini e mettendo insieme, così, 5 ettari di cui la metà già coltivata ad albicocche e arance – l’arancia “Biondo di Scillato” è inserita nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali (Pat) – e l’altra metà in stato di abbandono. Una rigenerazione del prodotto che passa anche dalla sua trasformazione e commercializzazione. Oltre alle già citate confetture, infatti, il “Biondello”, liquore all’arancia, riscuote grande successo.
Da questo racconto, ci si aspetterebbe che l’evoluzione della storia fosse stata tanto felice quanto la sua origine. Invece i ragazzi da 50 sono rimasti in tre (la società “Terre di Carusi” è costituita, oltre che da Alberto, anche da Giuseppe Oddo e Angelo Nicchi) e, dopo sette anni di duro lavoro e grossi sacrifici, non si riesce ancora a creare reddito. La raccolta, che il primo anno si aggirava intorno ai 40 quintali, infatti, è andata scemando nel tempo, vuoi per l’età di tanti alberi, vuoi perché qualche produttore ha cominciato ad usare trattamenti sulle piante, vuoi anche per alcune annate disastrose dal punto di vista meteorologico. Ma mai come quest’anno il raccolto è stato tanto povero: 18 quintali, di cui una parte dovrà essere trasformata in confettura per tornare al partecipare al Salone del Gusto. Cosa è successo? La peggiore delle catastrofi per ogni agricoltore: un’invasione di daini e cinghiali che hanno letteralmente devastato le piantumazioni, nutrendosi non solo dei frutti, che già sarebbe stato un danno ingente, ma addirittura delle piante con la perdita di 250 alberi e conseguenze devastanti anche sui raccolti futuri. La soluzione potrebbe essere di due tipi. La prima riuscire a dissuadere gli animali attraverso la recinzione elettrificata delle piantagioni o della zona in cui vivono gli animali stessi. Una soluzione che però risulta onerosa dal punto di vista economico perché i daini riescono a saltare fino a due metri e mezzo di altezza e gli ettari coltivati sono frammentati, mentre la zona in cui vivono è molto ampia. L’altra soluzione sarebbe quella dell’abbattimento selezionato. Una soluzione, oltre che cruenta, anche di difficile attuazione visto che gli esemplari solo nelle Madonie sono arrivati ad essere cicrca novantamila. Gli animali ovviamente non hanno colpe, avrebbe dovuto essere responsabilità delle amministrazioni locali tenere sotto controllo un fenomeno che oggi è totalmente fuori controllo e arreca danni ingenti a tutti i coltivatori del territorio. In più si potrebbe pensare di vendere le carni degli animali abbattuti e quindi di trasformare in una risorsa quello che oggi è solo un onere. Basti pensare che i danni, solo delle produzioni di Scillato, quest’anno ammontano a circa 23.000 euro per comprendere l’urgenza di un qualsivoglia intervento. “Invece – racconta Battaglia – quando provo a sensibilizzare le autorità, tutti si stringono nelle spalle. Onestamente, non ho più le forze per fare l’altruista”.
Come non comprenderlo? E non si può neanche dire che questi ragazzi si siano persi d’animo. Hanno infatti compreso che, per vivere del proprio lavoro, gli toccava purtroppo intraprendere numerose piccole attività e così hanno fatto. Di recente gli è stato approvato un finanziamento per un essiccatore e nel frattempo hanno aperto un negozietto di ortofrutta che si chiama “Casa e putìa” nella piazza principale di Scillato il cui obiettivo è quello di diventare la bottega delle Madonie, un punto di riferimento per le produzioni locali e per creare sinergie tra i produttori, e tra i produttori e la popolazione. Solo che, come spesso accade nei paesi, i compaesani, che dovrebbero essere i primi a supportare queste realtà, ancora non si avvicinano. Solo il 7% comprende il valore del progetto e acquista in bottega. “A questo – continua Alberto – si aggiunga che io ero quello che girava per promuovere l’amaro e le confetture ma, dovendo stare tutto il giorno al negozio, questi prodotti al momento sono fermi. Siamo una rete di giovani volenterosi e resilienti, ma se non riusciamo a produrre reddito dovremo cambiare le nostre prospettive di vita. Personalmente, dopo sette anni di duro lavoro, ho deciso di darmi tempo ancora un paio di anni e dopo, se non cambia nulla, me ne vado. Con la pena nel cuore, ma non ho altra scelta. Le amministrazioni devono capire che in questo modo non solo si perde la biodiversità floristica, ma anche quella umana. Siamo molto demoralizzati, abbiamo bisogno di aiuti concreti come potrebbe essere quello di un supporto economico per le già citate reti elettrificate, per portare avanti un progetto di contenimento degli animali che distruggono i raccolti. Se non ci supportano gli enti locali territoriali, chi lo deve fare?”.