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Il caso

Consorzio Mozzarella di Bufala Campana: dopo dichiarazione sui rifiuti tossici e post di Pomì è psicosi, grave flessione delle vendite

06 Novembre 2013
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Antonio Lucisano, il direttore: “A breve una campagna per dimostrare la salubrità delle nostre mozzarelle”

Si è scatenata la psicosi e a pagarne il conto adesso è anche una delle produzioni d’eccellenza campane, la Dop icona del Made in Italy e della tradizione casearia nazionale.

Il direttore del Consorzio Mozzarella di Bufala Campana Dop, Antonio Lucisano, denuncia una grave flessione delle richieste di mozzarelle da parte del mercato registrata in questi ultimi giorni in seguito delle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone sul traffico dei rifiuti tossici gestito dai Casalesi che ha compromesso una grande area del suolo campano. E come se non bastasse, il comparto si trova da qualche ora a dovere scontare le pesanti ripercussioni causate dal post della Pomì pubblicato qualche giorno fa sulla pagina facebook ufficiale con il quale si assicura il consumatore sulla qualità dei pomodori usati perché originari della pianura padana e che ha scatenato, anzi incendiato, l’indignazione del popolo della rete.
 
“Siamo molto preoccupati –  commenta al telefono Lucisano – ci stiamo battendo in queste ore per fare capire disperatamente il valore qualitativo del nostro prodotto a marchio dop.  Viene sottoposto ogni giorno ad una quantità tale di controlli che abbiamo la certezza che la mozzarella sia esente da diossina, metalli pesanti, e da qualsiasi altra sostanza tossica. Da quando sono subentrato come direttore nel Consorzio in tre anni non ho mai, dico mai, visto un dato analitico che confermasse la loro presenza – e dichiara a voce ferma –. Siamo tranquilli sotto questo profilo. Abbiamo chiesto da tempo alle istituzioni,  e adesso abbiamo avuto delle promesse in merito, una mappatura esatta dei siti dove sono stati depositati questi rifiuti. Però possiamo affermare che già le nostre aziende possono garantire l’assoluta salubrità e assenza di materie prime provenienti da quelle aree. Noi lavoriamo facendo leva sulla coscienza dei nostri produttori e sui dati analitici”. E a proposito di questi ultimi, ci anticipa il direttore, a breve il Consorzio lancerà una campagna che coinvolgerà direttamente le principali associazioni dei consumatori invitandole a prelevare random campioni di mozzarella di bufala campana dop nei vari punti vendita d’Italia e ad inviarli presso un laboratorio di analisi accreditato a livello internazionale. “Copriremo noi le spese di spedizione – spiega  Lucisano –. Faremo esaminare quello che mandano e i risultati li pubblicheremo sui tutti i giornali a tiratura nazionale. Questa sfida la lanciamo proprio per dimostrare che siamo, ripeto,  tranquilli. Vogliamo che il consumatore veda nel marchio una garanzia straordinaria della qualità del prodotto. Penso che ventimila controlli all’anno siano lo zoccolo duro di tale garanzia. Il consumatore non deve guardare solo la provenienza ma proprio quello che garantisce la Dop”.

Sul messaggio pubblicitario lanciato su Facebook da Pomì che recita “Solo da qui, Solo Pomì” con una immagine grafica e un commento che sottolineano la provenienza assolutamente padana dei pomodori utilizzati, Lucisano tuona: “Si vuole fare di tutta un’erba un fascio. Si vuole chiaramente distruggere un'economia. Il pomodoro che sia di San Marzano, Pomodoro del Piennolo del Vesuvio o Pachino, sono eccellenze che abbiamo solo noi. E non ho timore a dirlo, non penso che un grande ristoratore si sognerebbe mai di utilizzare in cucina un pomodoro lombardo. Lo dico solo provocatoriamente e con tutto il rispetto per i prodotti coltivati nel Nord Italia. Volere sottolineare sottotraccia “Voi siete sporchi, noi puliti” non è altro che una bega sterile. Si danneggia così facendo tutta l’Italia e la sua immagine nel mondo. Un consumatore cinese o giapponese a stento conosce il nostro Paese. Così ci si fa male da soli. Alla fine questo messaggio lo posso solo leggere come un tentativo di recuperare qualche posizione di vantaggio nel mercato interno, ma come risultato si è ottenuto solo uno spargimento di fango su tutto il Made in Italy, che è una delle poche cose ci rimangono, dopo avere distrutto la telefonia, l’informatica e il settore dell’automobile”. 

In un momento così difficile per l’economia  che vede le aziende dell’agroalimentare  tra le poche a resistere con grande fatica, un clima del genere fomentato da messaggi sbagliati, pregiudizi e allarmismi, rischia seriamente di  radere al suolo ciò che tanti produttori hanno costruito fino ad ora a difesa della qualità del paniere territoriale. “Non bisogna arrivare ad una guerra – conclude Lucisano – Però cosa succederebbe se si misurasse la presenza di sostanze tossiche nei prodotti coltivati nelle campagne della pianura padana? Sono stato proprio ieri a visitare un’azienda del casertano che produce ortaggi e frutta fresca. Loro fanno migliaia di controlli su ogni singolo prodotto che coltivano che risulta sano eppure adesso subiranno grandi perdite”. 

Manuela Laiacona