di Stefania Petrotta
Crediamo di poter essere tutti d’accordo sul fatto che il 2020 sia stato (e sia tuttora mancando, ahinoi, ancora un mese alla sua conclusione) un annus horribilis da tutti i punti di vista: salutistico, economico, sociale.
Lo è stato per tutte le persone che hanno perso un proprio familiare o sono state male. Lo è stato per tutti noi che ci siamo ritrovati costretti a rinunciare agli abbracci dei nostri cari, ad andare al cinema, al teatro e a condividere tanti altri momenti di convivialità con gli amici. Lo è stato per tutti quelli che hanno perso il proprio lavoro, che sono stati messi in cassa integrazione, che hanno dovuto chiudere le proprie attività commerciali, o che si sono dovuti indebitare al fine, appunto, di non essere costretti a chiuderle. Noi, che lavoriamo nel settore, abbiamo contezza di quanto lo sia stato per gli albergatori e per i ristoratori, costretti dagli eventi e per la sicurezza dei propri clienti prima a chiudere, poi a riaprire adottando tutte le norme di sicurezza indicate dai vari decreti, e infine a richiudere. Cosa sarà di questo ultimo mese non si hanno certezze, si fanno congetture, ma non si sa realmente nemmeno se potranno ripartire e a quali condizioni. Sta di fatto che, a seconda delle nuove disposizioni imminenti, molti ristoranti decideranno di non riaprire comunque, perché un riavvio della propria attività senza garanzie di nessun genere, ed in primis temporali, comporterebbe un impegno economico gravoso che non tutti possono affrontare, specie dopo lo stillicidio dei mesi scorsi.
Ed è così che, in questo momento di uscita di guide, ci ritroviamo a riflettere sull’opportunità, proprio in quest’anno di lacrime e sangue, di rendere nota pubblicamente la perdita dei riconoscimenti da parte di ristoranti che hanno dovuto chiudere i battenti nella speranza di riuscire a riaprirli in un futuro prossimo. Al netto di quanti si siano domandati se per il 2020 non fosse forse il caso di “congelare” e rimandare tutto all’anno venturo, quello che oggi colpisce, proprio in virtù della recente maggiore sensibilità acquisita nei confronti del dolore altrui, è questa comunicazione pubblica di chi non ce l’ha fatta, di chi non è riuscito a garantire una continuità, non del proprio eccellente lavoro, ma dell’attività legata ad esso. Pensiamo a Roy Caceres, chef del ristorante Metamorfosi a Roma, una stella Michelin, un nome fra tanti, che conosciamo bene perché abbiamo avuto il piacere di averlo come ospite alla sesta edizione di Taormina Gourmet nel 2018. Proiettato, a detta dei più, verso la seconda stella, si è ritrovato a dover chiudere per le difficoltà legate al Covid-19 e, conseguentemente, a perdere la stella che aveva. Noi possiamo solo immaginarne lo sconforto, suo come di tanti altri che hanno percorso lo stesso cammino, e non solo quest’anno ma anche negli anni passati, la delusione e l’impotenza.
Non entriamo nel merito delle decisioni perché non ci compete e siamo consci che le regole del gioco siano queste, ma non possiamo fare a meno di chiederci se forse, magari appunto solo per quest’anno, ci si poteva limitare ad eliminare i nomi dalla guida senza dover fare subire loro anche l’umiliazione di un pubblico declassamento, dovuto più ad una situazione straordinaria che ad una reale mancanza da parte loro. Una riflessione che probabilmente non ha risposte ma che ci viene spontaneo fare, prima che da giornalisti, da esseri umani.