(Jamie Oliver)
25 ristoranti a rischio chiusura, 1.200 posti di lavoro che “salterebbero”. Ecco la portata del disastro finanziario che si sta abbattendo su Jamie Oliver.
In reatà non è la prima volta che lo chef si trova al centro di guai finanziari. Già due anni fa, a causa di una mole di debiti accumulata pari a 80 milioni sterline, il gruppo di ristoranti del cuoco 43enne di Clavering, nel Regno Unito, aveva rischiato di saltare per aria. I dipendenti erano riusciti a tirare un respiro di sollievo solo perché lo stesso chef aveva immesso nel sistema aziendale diversi milioni di euro dal proprio fondo personale. La bancarotta era stata così evitata, ma evidentemente in due anni i problemi non si sono sanati, nonostante il piano di liquidazione messo in atto nel 2017, che aveva portato alla chiusura di oltre 12 ristoranti. I problemi sono, anzi, peggiorati.
Oggi infatti il gruppo – comprendente le catene Jamiès Italian, Barbecoa e Fifteen – è sottoposto ad amministrazione controllata e ha incaricato il colosso della consulenza Kpmg di gestire il processo di insolvenza. Lo ha ammesso lo stesso Oliver, che si è dichiarato “profondamente dispiaciuto di questo epilogo, capisco quanto possa essere difficile ora per lo staff e i fornitori e per tutti coloro che verranno colpiti”. Una mole di persone tale da far sembrare i circa 600 licenziamenti dello scorso anno, quasi una bazzecola. E che, tuttavia, non sono ascrivibili solo a responsabilità particolari di questa società, ma si inscrivono in una crisi generale che sta colpendo diverse grandi società che somigliano a quella dello chef. La storia imprenditoriale di Jamie Oliver, infatti, fatta di alti e bassi inequivocabili, si muove però su uno sfondo della crisi strutturale del grande retail e di marchi come: Carlucciòs (specializzato pure in gastronomia italiana), Byron Burger e Gourmet Burger Kitchen.
C.d.G.