È nella provincia di Avellino che le principali Docg hanno contribuito a fare grande la “Campania felix” del vino. Due delle quali hanno sancito una trazione bianchista a questa ragione, il Fiano di Avellino e il Greco di Tufo. A quest’ultimo vitigno, espressione del lavoro di Cantine dell’Angelo, è stata dedicata la degustazione “Greco di Tufo Torrefavale, la quintessenza della mineralità”. A differenza delle altre denominazioni, come evidenziato da Titti Casiello, conduttrice della degustazione insieme a Pedro Ballesteros, di circa gli 800 ettari vitati tutti vengono effettivamente prodotti ed etichettati come Greco di Tufo Docg. Un vitigno che consegna al calice la potenza del tufo che si traduce in pietra liquida, di anno in anno interpretata, a seconda delle variazioni climatiche, in maniera sempre diversa.
Cantine dell’Angelo, oggi alla terza generazione con Angelo Muto che vede la consulenza enologica di Luigi Sarno, dedica il suo progetto esclusivamente al Greco, le cui piante vengono coltivate su antiche miniere di zolfo. Espressioni luminose quelle che nei sei calici in degustazioni hanno rivelato un’identità disegnata su un colore brillante, grande acidità e un frutto a polpa bianca che incontra una vibrante macchia mediterranea. Espressioni luminose che mostrano carattere sì nelle annate più recenti, ma grande evoluzione e carattere dopo anni in bottiglia.
Un sorso pieno e orizzontale caratterizza i diversi millesimi in degustazione. Tutti legati da una sapidità a tratti salmastra e una personalità tanto timida quanto decisa nelle sue sfumature.
Il primo assaggio riguarda l’annata 2021 che introduce il greco con la sua nota amarognola e fumé, e di un frutto a polpa gialla che riempie il palato, così come la 2020 che gioca maggiormente sulla sapidità. Interessante la 2019 con un naso leggermente ossidato che esprime nel calice freschezza e grande potenza. Molto simili in termini di note iodate, quasi marine, con la 2013. Due annate di grande densità aromatica. Meno interessante la 2016 data la gelata in Irpinia che ne ha influenzato l’andamento, e di impatto la 2018. Splendida annata quest’ultima, secondo il produttore, in equilibrio fra un’eleganza che scivola lentamente in note quasi burrose. Nello specifico la 2013 non solo testimonia la longevità dei bianchi irpini ma la grande complessità anche in ottica enogastronomica di un’areale ancora troppo poco noto, non tanto ai degustatori abituali ma a chi dovrebbe combinare quei “matrimoni d’amore” per dirla con Veronelli fra cibo e vino.