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Borgogno, Etna, così lontani e così vicini a TG on tour: “Due territori con la stessa filosofia produttiva”

02 Dicembre 2024
ph Vincenzo Ganci, Migi Press0483 ph Vincenzo Ganci, Migi Press0483

Se oggi Borgogno è una cantina che rappresenta una rara memoria storica del territorio di Langa il merito è della straordinaria preziosità del tempo. “Essere lenti nelle proprie azioni significa avere tutto il tempo di comprendere le cose e di farle nel modo giusto. Così si è fatto e facciamo col Barolo e così facciamo adesso sull’Etna nel versante Nord del vulcano con Carranco, in collaborazione con il Cavaliere Tornatore”, dice Andrea Farinetti alla masterclass che si è svolta a Taormina Gourmet on tour e che ha avuto come protagonisti proprio quei rossi tanto apprezzati nel tempo. “Siamo davanti a due territori con una storia diversa alle spalle ma la nostra filosofia produttiva è la stessa. Da una parte c’è la provata longevità del Barolo con la “Giacomo Borgogno & Figli”, dall’altra l’attrazione del vulcano, che lascia intuire grandi potenzialità in termini di invecchiamento”.

Andrea racconta della sua prima volta in visita sul vulcano: “La mia prima visita etnea fu da Frank Cornelissen che al mio arrivo mi fece lavare i piedi con l’acqua ossigenata prima di entrare in cantina”, racconta sorridendo. Ma da lì in poi il nesso con le Langhe è stato per lui naturale. “La similitudine sta nel clima che si respira, nel rispetto totale, in quell’unico pensiero che dà valore a singoli vitigni”. “Di certo nessuno decide dove nascere e in quale famiglia. Io ho avuto la fortuna di nascere nelle Langhe negli anni ’90 e ho cominciato in un periodo d’oro. Ma ci sono tanti territori con medesime potenzialità che attendono solo il momento giusto per farsi conoscere. Per onestà intellettuale noi non ci attribuiamo meriti, cerchiamo solo di dare valore anche ad altri territori. E l’Etna è tra questi”.

A condurre la degustazione il giornalista Andrea Gori che sottolinea la piacevolezza che contraddistingue quei rossi, anche se non giovanissimi. Gori chiede se il Nerello mascalese può stare sullo stesso palcoscenico del Nebbiolo. Una domanda lecita, che fa riflettere. Sui calici le differenze ci sono e sono diverse. Parliamo di due territori diversi, ma le similitudini non mancano, a cominciare dal calore. La degustazione fa intuire un medesimo percorso evolutivo, seppur nei primi sia il frutto a prevalere al momento. I giovani rossi etnei, tuttavia, mostrano esperienza alle loro spalle e interessanti prospettive.

LA DEGUSTAZIONE

Ecco i vini in degustazione

Doc Etna Rosso Contrada Carranco 2020 – Carranco

Doc Etna Rosso Contrada Carranco RV 2020 – Carranco

Due Etna che mostrano gioventù ma con esperienza alle spalle. Se ne può intuire l’evoluzione. Nel primo, al naso tartufo, rabarbaro, note ferrose, cenni fumè, erbe officinali e piccoli frutti rossi. Il tannino non aggressivo, fa comunque la sua parte. Nel secondo, il Cru più in alto dentro la contrada, siamo davanti ad un piccolo appezzamento per una piccola produzione. RV racchiude l’idea di una riserva. Da qui il nome per un vino che secondo Andrea Farinetti non può sostare a lungo in legno. E non riuscendo a rientrare nel concetto di riserva, aggiunge al nome la sigla RV che lascia immaginare il percorso di affinamento. Naso elegante, note di sottobosco, terrose e balsamiche. Sorso fresco, tannini ben integrati.

Si passa ai Barolo. E inizia il viaggio nella storica azienda piemontese, che ricopre circa 50,6 ettari, di cui 8 sono coltivati a bosco e 42,6 sono vitati. Circa il 60% è coltivato a Nebbiolo. “Il concetto di Cru è recente se parliamo di Barolo. In quelle terre, della “malora”, difficili da vivere, fare un vino da un solo appezzamento, sarebbe stato troppo rischioso. Un brutto raccolto avrebbe causato un disastro economico. Il Barolo classico, quindi, nasceva da uve che provenivano da vari vigneti, perché potessero essere garantite omogeneità e qualità. Oggi parliamo anche di Cru”, spiega Farinetti. E la grande fortuna dell’azienda è proprio quella di possedere cinque fra i migliori vigneti cru di Barolo: Liste, Cannubi, Cannubi San Lorenzo, Fossati, San Pietro delle Viole. Ma va ricordata anche la geniale intuizione di Cesare Borgogno che dal 1922 decise di dimenticare metà della produzione di Barolo in cantina per venderla solo dopo 20 anni, creando una libreria di questa Riserva. Questo ha regalato a Borgogno l’acquisizione di straordinaria rotondità ed equilibrio.

Si parte da Barolo 2020. Naso etereo, aggraziato, con note di frutta rossa e spezie, al calice si approccia con discrezione. Sorso fresco, polposo, con una trama tannica fitta e addolciti. E si passa dopo ai Cru che sono “l’imperfezione che dà l’unicità”, dice Farinetti.

Barolo Fossati 2019 spicca per le sue note di erbe, finocchietto selvatico

Barolo Cannubi 2019 per il suo carattere solare e carnoso, che unisce eleganza, struttura e freschezza. Barolo Liste 2019 unisce potenza e struttura.

Sono le vecchie annate a sorprendere di più. Barolo Riserva 2017 si mostra etereo, elegante, con un frutto ancora denso, note di sottobosco, tartufo. Ma si chiude con un’emozione liquida: Barolo Riserva 1982. Annata da campioni del mondo, per questo Andrea Farinetti lo definisce il “Barolo del Made in Italy”. Emozione in bottiglia, naso etereo, note di spezie, tabacco, nota umami, di oliva tostata, note balsamiche. Sorso vivo, ancora di una piacevolezza estrema. Un vino emotivo, pulsante, che non ti svela mai tutto subito, che ti lascia qualcosa in sospeso. “Un vino che ti fa pensare – dice Farinetti – a cosa ispirarti per il futuro. Il mio Barolo di riferimento”.