di Giovanni Paternò
Nel 2008 l’enologo Riccardo Cotarella, in occasione di Sicilia en Primeur, affermò di assimilare come autoctoni alcuni vitigni non originari della Sicilia che nell’Isola avevano trovato l’ideale areale fitoclimatico e pedologico.
Fece l’esempio del Syrah e specialmente del Viogner, che giudicava nel suo migliore ambiente. L’affermazione fece nascere un vivace dibattito tra quelli più puristi e i più elastici. Aveva dimenticato però di citare tra i vitigni pseudo autoctoni il “Petit Verdot”. Chi è costui?
E’ un vitigno originario della Francia, della regione del Medoc, a nord di Bordeaux, in sinistra del fiume Gironda. E’ una regione tipicamente viticola e il Petit Verdot viene utilizzato, in varie percentuali, negli assemblaggi di alcuni Bordeaux assieme al Merlot e al Cabernet, perché dona al vino un tocco di complessità; ha buccia spessa e può produrre vini tannici, concentrati, ricchi di colore a maturazione. Purtroppo ha un difetto: matura tardi per cui in molte annate non arrivava al corretto sviluppo, quindi pian piano è stato utilizzato sempre meno e quasi abbandonato.
Da alcuni anni la ricerca di originalità, la moda dei vitigni dimenticati e le annate più calde lo hanno rivalutato per cui è stato ripreso in Francia e diffuso in paesi più caldi quali la California e la Spagna. Visto che caratteristiche del Petit Verdot sono quelle di maturare tardivamente, dando ottimi risultati in zone caratterizzate da clima caldo, molto soleggiato, costantemente ventilato e con scarsissime precipitazioni durante la fase vegetativa, niente di strano che il “piccolo verdicello” poteva trovare perfetto ambiente nella calda e siccitosa Sicilia.
Così, coraggiosi e sapienti vigneron siculi lo hanno impiantato, anche se ancora in quantità marginali.
Questo è il caso dell’Azienda Quignones in agro di Licata. Comprende circa cento ettari e fino agli anni novanta produceva vino che vendeva sfuso. Alla fine del decennio la famiglia decide di ristrutturare l’azienda e oltre agli originari Nero d’avola e inzolia, che implementa, introduce i vitigni internazionali ed un ettaro lo destina al petit verdot, fidandosi dei consigli degli agronomi. La prima annata è stata il 2003 e subito si sono accorti che la qualità del vino andava ben oltre le loro aspettative, tanto da vinificarlo e imbottigliarlo quasi tutto in purezza, cosa difficile da trovare in altri. Ogni anno la produzione è di circa 6.500 bottiglie, tutte vendute.
Abbiamo degustato l’annata 2007. La bottiglia ha un’austera etichetta dove fa bella mostra lo stemma di famiglia, di nobili origini spagnole. La retro etichetta è essenziale e riporta solamente i dati di legge. Il vino fa circa 12 giorni di fermentazione per poi passare in acciaio dove effettua la malolattica ed affina per circa un anno per poi completare il suo ciclo per altri tre mesi in bottiglia.
Nel bicchiere spicca il colore rosso granato più che rubino, indice di alti tenori di antociani. Al naso la prima impressione è di estrema eleganza, buona intensità e dopo una vigorosa agitazione emergono note speziate e leggermente balsamiche che poi convergono verso leggeri frutti rossi. Perfettamente franco. Al palato è asciutto, morbido, di corpo medio, si avvertono ancora tannini buoni e una vivace e piacevole acidità, quest’ultima, caratteristica del vitigno. Persistenza appena discreta e retrogusto piacevole; i suoi 13 gradi lo rendono caldo ma non alcolico e la bocca rimane fresca. Ha raggiunto la giusta evoluzione, ma ancora sembra capace di ulteriore invecchiamento. Nota finale il prezzo: circa 9 euro allo scaffale che ne fanno un ottimo vino da abbinare ad una buona bistecca, a formaggi non molto stagionati e a salumi non grassi.