di Massimiliano Montes
Uno dei dibattiti che animano gli amanti delle bollicine è se sia meglio uno champagne da uve Pinot Noir o Chardonnay e la proporzione di eventuali assemblaggi.
Oggi vi proporremo un confronto inusuale tra due Rosé, il Fleury de Saignée, strepitoso champagne biodinamico prodotto dalla famiglia Fleury in Côte des Bars interamente da uve Pinot Noir, ed un particolare Daumas Gassac Brut Rosé prodotto ad Aniane dal talentuoso Aimée Guibert con uve Cabernet Sauvignon.
Chi ha visto il film documentario “Mondovino” non può non ricordare Aimée Guibert, col tradizionale berretto, che cammina tra i filari dicendo: “il vino è morto, il vino è morto!”.
L’invettiva del buon Aimée era rivolta all’industria del vino ed alle multinazionali che controllano la produzione e la distribuzione degli alcolici, colpevoli di una vinificazione piatta e standardizzata, priva di territorialità, volta soltanto alla conquista di un mercato spesso adescato da dolcezze e fruttuosità non naturali.
Il Daumas Gassac Rosé non può fregiarsi della denominazione di “champagne” perché prodotto al di fuori della Aoc (l’equivalente francese della nostra Doc), ma è sicuramente meritevole di attenzione proprio per l’atipicità di un Brut da uve non usualmente utilizzate per vini frizzanti.
La bottiglia è a bassa pressione, con un contenuto di anidride carbonica inferiore rispetto ai tradizionali champagne. Per molti versi assomiglia ad un “Cremant”, champagne caratterizzato da bassa pressione ed aromi varietali in primo piano.
Gentilmente versato in un calice ampio mostra un perlage fine, non eccessivo, ma persistente. Il colore è rosato intenso, come ci si aspetterebbe da un uva ricca di antociani (le sostanze “coloranti” presenti nella buccia) come il Cabernet Sauvignon. Gli aromi di frutto aprono l’olfazione, aromi intensi di mirtillo e fragola fresca, seguiti da un ricordo pirazinico di ortaggi appena accennato. Il finale ricorda una buona “Indian Tonic”, leggermente amaro e gradevolissimo. Ha una buona persistenza e tende a “fondersi” abilmente con i sapori dei cibi.
Anche il Fleury marca le differenze. Prodotto da una famiglia storicamente dedita alla biodinamica, è sicuramente uno champagne diverso, con un “Gout de Maison” che si allontana da stucchevolezze eccessive che diminuiscono il piacere della bevuta. Ha una buona pressione ed un contenuto gassoso medio per uno champagne. Nel calice genera un perlage persistente ma non grossolano. Il colore è rosa più tenue del precedente: le uve Pinot Noir infatti hanno un contenuto di antociani inferiore al Cabernet Sauvignon e questa differenza cromatica tra i due Brut era prevedibile.
L’apertura del Fleury de Saignée è tutta dedicata ai lieviti. Accostando il calice al naso l’aroma dei lieviti utilizzati per la rifermentazione in bottiglia è intenso, con gradazioni che vanno dal lievito di birra al pane appena sfornato. Questo corredo aromatico è destinato però a svanire presto, e dopo pochi minuti lascia il passo ad aromi fruttati agrumati sempre più intensi. Il lampone è il piccolo frutto più riconoscibile, ma certamente l’aroma che si rivela dominante col trascorrere del tempo è quello di pompelmo.
Pompelmo rosa, forse per suggestione dal colore del calice, sempre più intenso e caratteristico. La chiusura è tutta per l’agrume, con una retrolfazione delicatamente amarognola ed un finale piacevole e persistente. Il Fleury de Saignée è più delicato ed equilibrato del Daumas Gassac, piacevolissimo da bere. Richiede abbinamenti meno arditi e meno invadenti, è perfetto per antipasti di pesce, ma buonissimo anche da solo.
Questa confronto si smarca dalla tradizione e mette da parte lo Chardonnay come varietà preferenziale per le bollicine. Fleury de Saignée e Daumas Gassac Brut sono un esempio di come il Pinot Noir in purezza ed un “atipico” Cabernet Sauvignon possano rivaleggiare con le tradizionali cuvée, e forse anche primeggiare. Il primo costa sui 50 euro, l’altro sui 15 euro con acquisto diretto in cantina via internet (www.daumas-gassac.com).