Che succederebbe se si togliesse l’impatto economico del vino italiano nel nostro paese? Beh, solo in termini di Pil, si perderebbe l’1,1 % che equivale a un bilancio, per fare un esempio, di una regione come l’Umbria. Cosa di non poco conto. A rispondere a questa domanda, ci ha pensato l’Osservatorio Uiv-Vinitaly che ha presentato la ricerca dal titolo “Se tu togli il vino all’Italia. Un tuffo nel bicchiere mezzo vuoto”. La conferenza si è tenuta all’interno dello spazio del Ministero dell’agricoltura, nei pressi del PalaExpo con temperature qusi estreme dovute al caldo e con la presenza anche del ministro Francesco Lollobrigida, oggi grande protagonista nel primo giorno della kermesse veronese. All’interno del mini-salotto allestito per l’occasione e con padrone di casa il giornalista del Corriere della Sera Luciano Ferraro, c’erano anche il presidente di VeronaFiere Federico Bricolo, l’Ad di VeronaFiere Maurizio Danese, Carlo Flamini dell’osservatorio Uiv-Vinitaly e Giuseppe Schirone di Prometea. In platea il presidente di Uiv Lamberto Frescobaldi, il presidente del consorzio di Montalcino Fabrizio Bindocci, il presidente del consorzio dell’Etna Francesco Cambria e la presidente di FederVini Micaela Pallini.
Tutti concentrati sui numeri, ovviamente. Con alcuni dati interessanti che riguardano il valore dei vigneti dei territori presi come esempio della ricerca, ossia Montalcino, Etna e Barolo. Partiamo proprio dal gioiellino piemontese, un borgo di appena 700 residenti dove il vino è diventato un asset fondamentale per l’intera economia piemontese. Qui acquistare un ettaro di vigneto è un’impresa quasi impossibile. Intanto bisogna trovare chi è disposto a vendere. E poi serve un assegno con sei zeri. Già perché, in media, un ettaro di vigneto da queste parti costa 1,1 milioni di euro. Ma ci sono zone in cui si arriva a 2 milioni di euro. Non meno cari i vigneti nel Brunello, con un ettaro che in media costa un milione di euro (otto volte della media toscana). Decisamente più economici i prezzi dei vigneti sull’Etna, ma super-cari considerando i prezzi medi siciliani. Un ettaro in media costa 150 mila euro. Ma ci sono zone dove occorrono 200 mila euro per accaparrarsi un appezzamento in qualche contrada pregiata.
In ogni caso, c’è un filo comune che unisce questi territori: ed è proprio il vino. In questi territori ogni singola bottiglia è capace di generare un impatto (diretto, indiretto e indotto) quantificabile in 117 euro a bottiglia per Montalcino, 109 euro per Barolo e 82 euro per l’Etna. Una reinfusione di ricchezza sui territori che, in un anno, corrisponde a rispettivamente circa 153, 131 e 123 milioni di euro. Ma non solo. perché in generale il comparto del vino mette insieme oltre 26 mila imprese, con più di 46 mila addetti coinvolti una produzione annua di 45,2 miliardi di euro e un valore aggiunto di 17,4 miliardi di euro. La distribuzione conta 400 mila operatori, mentre lo scorso anno si sono mosse per turismo enogastronomico in Italia oltre 15 milioni di persone, con un volume di affari di oltre 2,6 miliardi di euro. Ed è così che a Montalcino il reddito pro-capite è ben maggiore rispetto alla media regionale ed è cresciuto negli ultimi 10 anni del 37,9%, a fronte di una media nazionale del +11,1%. Una forbice che si riscontra anche nel comprensorio del Barolo dove il reddito pro-capite medio, sugli stessi valori di Montalcino, è cresciuto del 23,7%. Meno evidente, ma pur sempre riscontrabile, l’effetto booster anche sull’Etna, che si è attestato a +12,6% nel decennio, contro una media siciliana del +9.9%.
I territori presi come esempio, con i relativi Consorzi di tutela, hanno saputo individuare nel virtuoso rapporto con il vino la loro vocazione identitaria, che nell’enoturismo trova la massima (e remunerativa) espressione. Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, Montalcino – poco più di 5.000 abitanti, con il 16% della forza lavoro impiegata nell’accoglienza – conta circa 80.000 turisti ufficiali, un flusso enorme a cui risponde con oltre 300 strutture ricettive e 3.000 posti letto. Il piccolo comune di Barolo – circa 700 abitanti – riceve il 20% dei 90.000 turisti che arrivano nel territorio delimitato dal disciplinare della Docg (11 comuni), e ha registrato una crescita del 60% rispetto ai valori pre-Covid. Sull’Etna, già soggetto al magnetico fascino del vulcano, il vino ha aggiunto quel tocco di magistrale artigianalità, contribuendo a profilare un turismo più qualificato e raffinato, soprattutto dall’estero, tanto che oggi circa il 60% delle 150 aziende di filiera organizza tour e degustazioni guidate.
Senza il vino, si evince dall’analisi di Prometeia, il saldo commerciale del settore agroalimentare scenderebbe del 58% (da +12,3 a +5,1 miliardi di euro nel 2023), ma anche allargando il perimetro oltre il settore alimentare, è evidente che si rinuncerebbe ad un fattore di successo determinante per il made in Italy. Il vino lo scorso anno si è infatti posizionato al secondo posto nel surplus commerciale generato dai portabandiera tricolore, dietro a gioielleria/oreficeria – che a differenza del vino ha beneficiato di un rilevante “effetto prezzo” – e davanti a pelletteria, abbigliamento, macchine per packaging e calzature. All’impatto economico complessivo della filiera del vino contribuisce in modo sostanziale il turismo enologico che, se alimenta “al margine” l’economia turistica delle grandi città, può diventare fondamentale (anche al di là degli effetti strettamente economici) per molti piccoli centri e comunità rurali a vocazione vitivinicola. Nelle rilevazioni dell’Associazione Città del Vino, il turismo enologico coinvolge annualmente circa 15 milioni di persone (fra viaggiatori ed escursionisti) con budget giornalieri (124 euro) superiori del 13% a quelli del turista medio, per una spesa complessiva di 2,6 miliardi di euro. A partire da questi dati, l’analisi d’impatto evidenzia come senza questa componente verrebbe a mancare il 15% del valore aggiunto complessivo generato dalla filiera del vino.