Siamo in Alta Murgia, a Montegrosso, un borgo contadino fondato durante il fascismo dall'Opera Nazionale Combattenti.
Attualmente è abitato da alcune famiglie di contadini di Canosa e Andria: poche in realtà, e soltanto d’estate. Nella zona, vi sono oggi un gran numero di masserie, agriturismi e ristoranti tipici, che hanno contribuito in modo significativo alla rinascita della borgata. E, tra questi, c’è il ristorante Antichi Sapori dello Chef Pietro Zito. Di lui si legge spesso. Dietro la sua malcelata timidezza si trovano tanta determinazione ed energia. Questo è quanto si scrive. Niente da ridire. In effetti, è così che ti accoglie Pietro. Ti scruta appena, parla poco, sembra quasi un po’ burbero. Ma mentre ti accompagna nel suo orto, un’oasi verde di 1500 metri quadrati di erbe spontanee, ortaggi e frutta, nei quali svettano due alberi d’ulivo millenari, cominci ad osservarlo con attenzione. E allora noti come a parlare di se stesso sia ogni suo gesto.
Passeggi tranquillo, senza stress, e con lento incedere nell’orto, intervallato da massi bianchi e sculture in pietra d’autore – compresi cucina, tavoli e banchi a sedere – di cui Pietro è fiero. “Sono opera del mio amico, Vito Maiullari, artista d’Altamura”, ti dice; nel frattempo Vito arriva veramente e porta delle pagnotte che lo chef spezza con le mani offrendotele farcite di rucola appena raccolta. Un gesto semplice e sincero. Comici ad intuire chi hai di fronte.
Camminate insieme ancora, mentre lui prosegue a raccogliere la verdura che servirà per il pranzo. “Con questa – ti dice – facciamo la spesa tutti i giorni e il menù è pronto. Sono la terra e il suo ritmo a decidere cosa mangeremo”.
In lui, l’amore per il territorio e la terra sono evidenti. Ereditati dalla famiglia e dalla figura del nonno in particolare, che per lui è un vero motivo d’orgoglio. Lo comprendi da come ne parla, mentre ti racconta la storia di Montegrosso. Finisce così con il mostrarti foto storiche, poesie e scritti del nonno Pietro che conserva gelosamente.
“Negli anni ‘30 mio nonno ebbe l’incarico dal podestà di fare il pane per tutta la borgata. Aveva la prima elementare e scriveva moltissimo. Era il punto di riferimento per chiunque. Per dirimere controversie, non si andava dall’avvocato, ma da lui. Chiedeva perfino chiarimenti, al Comune, sulle tasse”, ti racconta, sorridendo. Così hai davanti un tesoro di documenti, che meriterebbero da soli uno studio interminabile, da cui comprenderesti la storia dell’epoca e i rapporti sociali e umani che regolavano i ritmi della borgata negli anni della riforma agraria. Peccato non ci sia il tempo di leggere tutto, ma ti soffermi su una poesia del nonno, che Pietro ha incorniciato e appeso al muro del ristorante, quella dal titolo “L’uomo e la terra”, dove l’incipit recita “L’uomo è l’amico della terra, anzi il lavoratore della terra, è il servo di questa gracile madre, prolifera di bene , che merita di essere trattata e non maltrattata”.
Ecco chi è Pietro. Un uomo che ha fatto tesoro della cultura del nonno, che ama le sue terre e le tratta bene. Forse così tanto da definirsi uno che va controcorrente. Perché? Beh, lo svela quando ti parla del territorio del nord di Bari. “Qui nessuno vuole vivere in campagna. È stato sempre così. Si preferisce la città, dove si concentrano tutti. Per cui questa borgata resterà un fantasma. E poi nessuno vuole lavorare la terra. Per cultura, ci si è sempre vergognati di sporcarsi le mani di fango. Né mai si è pensato di investire qui; forse anche per colpa della politica dei contributi e dei sussidi di integrazione, che non ha mai dato stimolo agli investimenti”, ti dice con un certo dispiacere. “Eppure da noi il terreno è eccezionale. La temperatura è perfetta e abbiamo buone riserve d’acqua, sempre costante”. Ecco perché Pietro è convinto di andare controcorrente. Dopo gli studi, diventa perito agrario, non trova lavoro e va a lavorare per una sala ricevimenti. Si ritrova così a fare la spesa tutti i giorni per gli altri, fino a quando nel ’90 ha l’opportunità di ideare il suo primo menù. “L’ho chiamato Antichi sapori” – ti racconta – “Qualcosa di semplice: la cucina della campagna senza panna né pennette alla vodka; nulla insomma che fosse in linea con la cucina in voga di quegli anni”. Inutile dire che quel menù fu un successo. “Capii che dovevo tornare alle origini e scelsi di aprire il ristorante a Montegrosso, accettando i commenti di chi, prendendomi per pazzo, non credeva alla mia avventura in questa terra difficile e vociferava: “Pietro è impazzito! Va a fare le orecchiette con le cime di rapa in campagna”. “Beh, il tempo mi ha dato ragione. Ed io non mi stanco di andare controcorrente”.
Che sia un rivoluzionario nel suo paese e uno chef all’avanguardia, con il suo ritorno alle origini, lo dimostrano altre scelte. A parte il suo orto, suoi fornitori sono i contadini, i pastori, i piccoli allevatori, i panificatori che sono disseminati nella campagna intorno al villaggio colonico di Montegrosso. Chiude il ristorante nel fine settimana, riduce il numero dei coperti, incoraggia il rilancio dei produttori e degli allevatori che rischiano di chiudere. “Chiudo il ristorante nei giorni di sabato e domenica, in cui chi esce mangia troppo e solo per la voglia di andar fuori. Preferisco che chi siede al mio tavolo lo faccia per mangiar bene. E per la stessa ragione ho ridotto il numero dei coperti. Il fatturato è anche cresciuto. Segno questo che chi vuol mangiar bene è disposto a spendere”, spiega.
Di certo, in tempi di crisi, non gli mancano sicurezza e grinta; le sue scelte sono coraggiose e premianti, così come l’iniziativa “Orto mio” una delle sue idee più riuscite: semplicemente, un piccolo giardino adiacente il ristorante, in cui Pietro e suo padre hanno reimpiantato diverse vecchie cultivar quasi dimenticate, e in cui gli ospiti possono raccogliere le verdure che andranno a costituire il loro stesso pranzo; è possibile anche “adottare” un filare di pomodori galatini, piuttosto che di fave nere o di fagiolini di Andria, e passare una domenica diversa, magari con i bambini, a curarne la crescita, fino alla raccolta. Si tratta di un vero progetto di educazione alimentare sul campo.
Così ti ritrovi a fare la spesa nell’orto di Pietro per ideare il menù del giorno, ispirato dalla terra. Ed ecco che qualche ora dopo, sei seduto al ristorante. Hai come l’impressione di essere a casa, mentre piatto dopo piatto, gusti la cucina sincera di Pietro con le uova fresche raccolte poco prima, le erbette e le fave, i finocchi e la lattuga. Adesso che hai vissuto con lui l’esperienza del raccolto, ti è perfino più chiaro il senso della scritta che leggi entrando al ristorante “mangiare è un gesto agricolo”, e conosci meglio lui: non più l’uomo timido dal fare burbero, ma l’uomo amico della sua terra che ama trasmetterne il valore con piccoli gesti; anche oltre i confini, partecipando attivamente all’associazione “Insieme per l’Africa” – che promuove iniziative a favore della popolazione dell’Etiopia e dei bambini di strada – e all’Associazione “Chef senza Frontiere” con il compito della formazione per la gestione del ristorante in Senegal.
Testo e foto di Francesca Landolina
Ristorante Antichi Sapori
Piazza Sant’Isidoro 10,
76123 Frazione di Montegrosso di Andria – Andria (Bt)
Tel. 0883 569529