da New York Paola Camillo
Baucinese e newyorchese, juventino e fan dei Giants.
La vita dello chef Fortunato Nicotra e' un battitto yankee su un’anima mediterranea. “Quando è arrivato a New York si voleva mangiare il mondo”, dice di lui Lidia Bastianich, che nel ‘95 lo scelse per condurre Felidia, il primo ristorante della fortunata catena di famiglia. Un rapporto quasi madre-figlio li lega, una collaborazione fianco a fianco lunga vent’anni, anche se Nicotra si rivolge tuttora a Lidia con un “lei” d'altri tempi.
Nato in Sicilia ma cresciuto a Torino -con papà collaudatore in Mirafiori e mamma commessa- Fortunato torna nell’isola negli ’80 per lavorare a Villa Marchesa, dove si guadagna la prima stella Michelin, e poi a Villa Esperanza, sala ricevimenti di lusso a Milazzo. Sono anni d’oro in cui si lavora a gonfie vele, ma con tangentopoli cambia tutto: inizia la crisi, i clienti diminuiscono e arriva l’ora di andarsene, di percorrere nuove strade. Nicotra sbarca a New York sotto consiglio di Luigi Caputo, patron dello storico ristorante Balbo di Torino, e arriva al momento giusto: quando la cultura del cibo inizia a cambiare radicalmente in città, quando si inizia a sdoganare la vera cucina mediterranea, “che non è quella italo-americana condita da burro, panna e tanto aglio e salsa per camuffare ingredienti non freschi –dice lo chef- ma è fatta da cibi di stagione che trovi nelle campagne e nel mare, vicino a te, oppure vengono importati dall’Italia, come il Prosciutto di Parma o la mozzarella di Bufala. Un piatto di rottura, che ha segnato la fine dei vecchi menù italoamericani è stato ad esempio il Raviolo di Pere e Pecorino, saltato in poco burro con il succo delle pere. Ora anche i ricci di mare piacciono tanto ma prima era difficilissimo proporli alla clientela americana. Ho osato anche: ho preparato un risotto alle rane ma nessuno, dico nessuno, l’ha ordinato e le rane le ho mangiate tutte io!”.
Il menù di Felidia, un locale che occupa un intero palazzetto degli anni '60 in East Meadtown Manhattan, vicino al ponte per il Queens, miscela la cucina del nord Italia con quella del sud: insalata di asparagi e culatello, burrata e uova alla carbonara, bianconeri alla Trapanese con calamari e tipico pesto siciliano, polipo grigliato e tonno alla Palermitana. C’è anche qualche capriccio americano di tradizione ebraica, come il salmon pastrami con crostini di bagel, un salmone leggermente affumicato conservato con pepe nero e coriandolo e accompagnato dal tipico pane a forma di grosso anello che si trova in tutte le groceries e i deli di New York; e non manca una deriva asiatica come il riso soffiato che, in una rivisitazione del sushi, accompagna il crudo di pesce, uno dei piatti più famosi del locale
Ma Felidia rimane comunque un classico della ristorazione italiana: meno trendy dei quotatissimi Del Posto o Esca, e più integralista: “oggi è difficile trovare la vera cucina italiana perché è stata troppo influenzata dalla moda di Ferran Adrià. Non riconosci più quello che mangi. Il segreto per una buona cucina italiana è appunto la stagionalità, la freschezza degli ingredienti, che è un marchio della nostra tradizione. Tutto questo ora è possibile anche qui con le aziende agricole del New Jersey e di Upstate New York e con il pescato di Long Island”. L’olio e' rigorosamente italiano: toscano e friuliano per carne e legumi, e siciliano – Primo di Cutrera e Verde di Becchina- per il pesce.
Nicotra, cinquantuno anni, conserva l'allure del tipico siciliano: accento di paese, eccentrico, indole sanguigna e allo stesso tempo guardinga. Abbronzato, un pizzico vanitoso, se non avesse fatto il cuoco avrebbe fatto lo stilista e ama Dolce e Gabbana e Cavalli. E' papa di tre bambini ed è sposato con Shelley, pr e producer dei programmi di Lidia Bastianich. “E’ una vita sacrificata al ristorante. Vedo mia figlia quando l’accompagno a scuola e gli altri due nella mia unica mezza giornata libera. Io e mia moglie riusciamo pero' sempre a cenare insieme non appena torno a casa a mezzanotte”. Vacanze rigorosamente in Sicilia, un mese in una casa di Cefalù, perché il mare isolano è l’unica cosa che manca davvero, con il pesce che ha tutta la brillantezza del Mediterraneo. “Mi siedo in un ristorante sul lungomare. Ordino il crudo di pesce con il condimento a parte. Faccio tutto da me, ho il mare davanti e non mi serve nient’altro”.