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Le grandi trattorie italiane/6. Locanda Devetak, la tradizione del Carso nei piatti

25 Maggio 2023
La famiglia Devetak La famiglia Devetak

Frazione di San Michele, come il monte epicentro della grande guerra, ricordata da un museo, dai relitti dell’artiglieria, dalle bocche mute dei bunker lungo la salita. Gli abitanti sono 250, uno più, uno meno, tutti ospitati in case ricostruite dopo le distruzioni belliche, ma senza fondamenta, tanto è dura questa roccia fra cui la vita sboccia qua e là le sue doline, oasi di un’acqua che scorre profonda. Chissà cosa ne sarebbe stato, se fino ad oggi, e per un futuro che si preannuncia assai lungo, la famiglia Devetak non avesse aperto le sue porte ogni giorno. Il Carso è terra di confine e di memoria. “Carsico”, secondo il dizionario, è tutto quanto si manifesta nuovamente dopo un periodo di latenza, si inabissa e poi riaffiora; eppure è sempre lì, nel profondo. Ed è un po’ la storia di questa trattoria familiare, che interpreta come nessuna l’unicità e la magia del territorio. Difficile risalire più indietro nel tempo, oltre quella data imprecisata verso il 1860, quando Ivan, di professione šušter, ovvero calzolaio come il padre e il nonno, insieme alla moglie Marija iniziò a offrire a chi passava nella capanna adibita a bottega vino e salame. Le cave di pietra, sfruttate anche per la stazione di Milano, prosperavano, attirando operai e generando un sospetto di benessere in terre poverissime. Abbastanza da trasformare la capanna in una casa di pietra con il tetto in lose, poi ampliata da terrazze e dependance. Dopo la registrazione nei tomi della burocrazia asburgica quale osteria nel 1870, la nuora Marijana inizia a servire qualche uccello cacciato e una gallina del pollaio, polenta di patate, baccalà e selinka, la tipica zuppa carsolina; e così dopo di lei Žuta. Le generazioni dei Devetak si susseguono, mentre a San Michele arrivano il treno per i pescatori, poi la strada carrabile, l’elettricità, la linea telefonica e l’acquedotto. Nel giugno 1968 proprio nell’osteria si accende la prima televisione del paese.

Altra data da segnare è il 25 settembre 1982, quando cade l’ultimo matrimonio celebrato in paese secondo tradizione, con gli sposi su un carro trainato da buoi: sono Uštili Devetak e la moglie Gabriella, originaria di una località popolata da italiani. I protagonisti della trattoria odierna, insieme alle loro quattro figlie, tutte impiegate variamente in azienda: Sara, Tatjana, Tjaša e Mihaela. C’è la prima dietro l’azienda agricola con fattoria didattica, in via di riconversione alla biodinamica, che rifornisce la cucina di ortaggi, salumi e miele; mentre le sorelle si dividono fra sala, cantina e cucina. Il merito di avere portato alla ribalta questo straordinario pezzo di storia va alla guida Michelin, che nel 2019 ha conferito a Uštili il premio speciale “Passion for wine” e nel 2023 una meritatissima stella verde. Qui la sostenibilità è fatta di prodotto, ma anche di memoria: se negli anni i Devetak hanno scavato nella pietra la loro cantina per una collezione di vini leggendaria, sulla strada si apre ancora nei giorni di festa la porta della vecchia osteria, che conserva gli strumenti di lavoro dell’ultimo calzolaio di famiglia, lo zio Remo, come un piccolo museo. Né va diversamente in tavola, dove i classici della cucina carsolina, piatti poverissimi e identitari, si mescolano disinvoltamente a qualche sprazzo di creatività; le memorie asburgiche e mitteleuropee cedono alle nostalgie slovene, ceche e italiane, la grande storia a quella familiare. Entrambe carsiche, in ogni senso della parola.

La cantina oggi conta 3.500 referenze e 13.000 bottiglie, che hanno accompagnato nel loro affastellarsi la prodigiosa crescita qualitativa della zona. “Intorno al 1990 c’era praticamente solo il Collio; il Carso dal punto di vista vitivinicolo era poco conosciuto. Io però ho cominciato a crederci andando in Piemonte e vedendo trattorie che lavoravano tantissimo. Ho capito che dovevamo promuovere i nostri vini e mi sono mosso con i produttori friulani e sloveni, impostando subito l’offerta sul calice. I primi dieci anni è stata dura, poi ho iniziato a riscuotere i primi risultati, cercando sempre piccole aziende di qualità. Come per la sostenibilità: ci sono voluti quasi 30 anni affinché si comprendesse il nostro lavoro, sul pulito e non sul vago; abbiamo anche perso tanti clienti, poi è arrivata la stella verde, la ciliegina sulla torta”, rievoca Uštili, che è la perfetta personificazione del territorio: poche parole e un sentimento che pulsa sotto sotto. Da un paio d’anni, dopo la pandemia, è anche fiduciario Slow Food e sono tanti i presidi in carta, vecchi e nuovi.

La cucina è il regno di Gabriella, cuoca completamente autodidatta, che veicola la storia, ma le dà un tocco personale. “E se un tempo mi avessero chiesto cosa volessi fare da grande, avrei messo questo lavoro per ultimo. Invece ho conosciuto mio marito a 15 anni, ci siamo innamorati subito, appena sono diventata maggiorenne ci siamo sposati e sono andata a vivere con i miei suoceri. Sono stata catapultata nella loro dimensione, assai diversa dalla mia, che sono italiana, non slovena. Un’altra lingua e un’altra cultura. In due anni ho cominciato a parlare sloveno e lavorare in sala. Poi nel 1987 mia suocere ha chiesto che io o mia cognata entrassimo in cucina a darle una mano e mi sono offerta. Mi ha insegnato i piatti e i profumi, mentre io cominciavo a fare qualcosa di diverso dalla tradizione. Ricordo che avevamo una lavagna divisa in due parti, quello che doveva fare lei e quello che facevo io, di fantasia. Qualcosa che è rimasto nel tempo, perché ai clienti di qui non puoi offrire ciò che mangiano a casa”.

Nonostante la fama e i premi, la Lokanda Devetak è rimasta una trattoria popolare, alla portata di tutti. Qui ogni piatto è il racconto di un pezzo di storia. Delizioso, per cominciare, il brodo brustolà, vellutata di pane e uovo tipica della quaresima, eseguita secondo la ricetta di famiglia e affiancata da Gabriella con un pane da inzuppare all’aringa affumicata, ben diffusa in Slovenia. Un piatto poverissimo, dai profumi antichi.
Oppure gli gnocchi di pasta lievitata, chiamati snidjeno, conditi con ragù di coniglio e ricotta affumicata carnica. Dove la specialità ha ascendenze austroungariche, ma il vecchio pane nello straccio, lievitato e bollito, è stato migliorato dalla cottura al vapore. Altra specialità di famiglia è la supeta, antica ricetta dei giorni di festa, preparata con la gallina vecchia del pollaio e le patate; Gabriella la varia con la pasta: un tagliolino alla farina di vinaccia di ribolla gialla pensato per il locale (ma può trattarsi anche di pasta abbrustolita o palacinke, le crespelle locali).
Fra i secondi è un must il baccalà (in realtà stoccafisso) della nonna Žuta con acciuga, polenta e Parmigiano, primo piatto servito nella vecchia osteria del ciabattino, con il pesce ammollato 3 giorni, bollito, pulito e soffritto con farina, pangrattato, aglio e olio di semi. Per dessert la Coppa del Vetturino, ricetta prodromica del tiramisù e tuttora segreta, di cui la trattoria è promotrice, oppure i buhtelni tipo Danubio, ripieni di confettura di saba.

Lokanda Devetak
Via Brežiči, 22 – San Michele del Carso (GO)
T. 0481 882488
Chiuso: lunedì e martedì
Ferie: variabili
Carte di credito: tutte
Parcheggio: no

LA RICETTA

Gnocchi di pasta lievitata – “Snidjeno testo” con ragù di coniglio al finocchietto selvatico
Ingredienti
  • 1 kg farina
  • 2 cucchiaini di zucchero
  • 1 cucchiaino di sale
  • 50 gr lievito di birra
  • 4 cucchiai di strutto
  • Acqua Q.B.
Impastare la farina con lo zucchero, il sale e lo strutto sciolto. Sciogliere il lievito in un po’ di acqua tiepida e unirlo al composto. Lasciar lievitare circa 1 ora. Fare delle piccole palline e disporle su una teglia rivestita da carta forno e distanti una dall’altra. Cuocere a vapore per 20’.
Ragù di coniglio
Ingredienti
  • 1 coniglio
  • 1 cipolla
  • 1 gambo di sedano
  • 2 carote
  • sale q.b.
  • olio di semi q.b.
  • mezzo litro di vino
  • acqua q.b.
  • 2 cucchiai di concentrato di pomodoro
In una casseruola oleata mettere il coniglio a pezzi. Tritare le carote, la cipolla ed il sedano e aggiungerli nella casseruola. Coprire con il vino e l’acqua, quando bolle aggiungere il concentrato di pomodoro e cuocere per circa 1 ora. Spolpare il coniglio dalle ossa e tagliarlo al coltello. Unire il sugo di cottura.
IMPIATTAMENTO:
1 noce di burro – finocchietto selvatico in polvere – ricotta affumicata.
Lessare gli gnocchi, passarli nel burro e finocchietto. Servirli con un cucchiaio di ragù e un velo di ricotta affumicata.