Siamo abituati a pensare la trattoria come un posto alla buona con tanti coperti, entry level della ristorazione obbligato a moltiplicare le tovaglie a quadretti. Scopriamo invece che il Gallo Rosso di Filottrano, una delle trattorie più coscienziose d’Italia, da qualche anno ha compiuto la scelta opposta, riducendo drasticamente tavoli e coperti per lavorare con ancora più coerenza insieme a produttori talvolta piccolissimi e curare personalmente il singolo ospite, fornendogli se desidera le informazioni del caso. Proveremo a farlo anche noi nel racconto di questo luogo straordinario: una trattoria confidenziale dove il rapporto umano, mediato dal prodotto e dal piatto, regna sovrano.
Andrea Tantucci e Gessica Mastri lo hanno aperto nel 2014, dentro la suggestiva cantina di un palazzo settecentesco nel centro del paese, tappezzata di mattoni a vista sotto un cielo di volte. Lui arrivava da una bella formazione in giro, svolta a livelli di tutto rispetto nelle Marche “sporche”, o poco più su: prima diversi passaggi con Andrea Angeletti, chef stellato che alle Busche gli ha insegnato i fondamenti del mestiere; poi l’esperienza all’agriturismo dell’Oasi degli Angeli, cantina del Kurni, dove la cuoca Eleonora Rossi gli ha trasmesso la passione per la materia prima contadina e il rigore assoluto nel suo utilizzo, sbilanciandolo verso il format trattoria. Senza dimenticare quasi 4 anni trascorsi con due maestri come Roberto Cantolacqua e Danilo Garbini in una pasticceria di culto, la Mimosa di Tolentino. Insomma un cuoco (e pasticciere) fatto e finito. Lei invece, dopo diversi lustri da impiegata in ufficio, aveva scelto di seguire le sue passioni e di cambiare vita. Partita in cucina, si è poi spostata in sala a fare l’ostessa e spiegare i piatti agli ospiti. Appassionati di blues, i due sull’insegna hanno scritto “Il Gallo Rosso”, per omaggiare la canzone The little red rooster di Willie Dixon e perché è rosso il pollo tipico delle campagne marchigiane.
Non sono poche le cose da raccontare. Tanto per cominciare in un angolo del locale c’è la libreria da cui attingono le loro ispirazioni: ricettari moderni e soprattutto antichi. È cresciuta non poco da quando hanno stretto amicizia con Tommaso Lucchetti, storico marchigiano della cucina e antropologo prestato alla gastronomia, in forze all’Università di Parma, che spesso anima serate di piacere e di studio. “Ultimamente mi è presa la fissa dei ricettari dei monasteri, dove c’era una cultura gastronomica fiorente – si infervora Tantucci – Consultandoli, l’impressione è che in quelle celle arrivassero i primi libri di cucina francese, oltre a circolare le grandi opere del Rinascimento. Per esempio c’è questo libro dell’800 stampato a Loreto, Il Cuoco delle Marche; oppure il celebre Cuoco perfetto marchigiano e tanti altri ancora, spesso recuperati da Lucchetti. Quando trovo una ricetta per prima cosa la provo, perché mancano le grammature e le temperature; ma cerco sempre di restare fedele all’originale, non mi piace l’idea della rivisitazione, anche se in cucina usiamo abbattitore e sottovuoto. Passiamo il tempo a rovistare indietro”.
Ma Andrea è un detective anche nello spazio. Se c’è qualcosa di cui va orgoglioso, è la collaborazione con i produttori artigianali marchigiani, piccoli e talvolta piccolissimi. La cucina regionale è fatta di animali di bassa corte, frattaglie, vegetali e pesci da conserva, come baccalà, stoccafisso e aringa affumicata. Li hanno introdotti da qualche anno, per venire incontro a diversi tipi di clientela e chiudere il cerchio della trattoria di campagna. “Ma è tutto quello che compriamo fuori. Lavoriamo da sempre con Doriano Scibè, che è stato un pioniere del biologico ed è tuttora il migliore allevatore delle Marche. Mentre per gli animali di cortile ci riforniamo da un ragazzo di Filottrano, per i vegetali da un contadino che fa l’orto per noi; abbiamo perfino una signora che raccoglie le erbe spontanee. Il nostro menu si regge tutto sul lavoro di questi produttori; più che sul chilometro zero, sulla filiera corta. Sono io che chiamo Doriano e gli chiedo: Hai una pecora? Se sì, me la manda intera. Con le ossa facciamo il jus, con la polpa il ripieno dei ravioli o uno spezzatino. Lo stesso con tutti gli animali, le oche e le anatre”. Ai salumi provvede sempre Doriano Scibè con i suoi suini allo stato brado, macellati maturi e trasformati in sontuosi prosciutti, ciauscoli e salsicce.
Lavorando su animali interi, non può mancare il quinto quarto: la trippa alla canapina, eseguita secondo gli usi dei lavoratori della canapa per l’industria delle corde a Jesi; ma anche la coratella, il fegato con le cipolle, tipo veneziana, o in paté, la lingua, le tagliatelle al sugo di rigaglie. Capisaldi della cucina rurale marchigiana, perché una volta nelle case si mangiava così.
I piatti di carne sono ormai ben delineati, talvolta inamovibili, un po’ perché richiesti, un po’ perché non stagionali in origine. Per esempio gli gnocchi al sugo di papera, che se la battono con le grandi sfoglie di mamma Gina, una che stende dieci uova col matterello modificato, aiutata all’occorrenza da un’altra signora. Circa metà dell’offerta, tuttavia, cambia anche da una settimana all’altra. Vedi i vegetali, con una sezione della carta tutta dedicata alle minestre, dove non mancano i classici regionali, per esempio il ciavarro, zuppa di legumi e cereali tipica del Piceno, cotti separatamente e legati con un sugo di pomodoro ed erbe aromatiche; sul versante creativo (“perché adoro la tradizione, ma capita pure qualche piatto moderno”) la cocotte di ortaggi di primavera in diverse cotture, con salsa a parte.
Il baccalà arrosto è eseguito secondo le indicazioni di un ricettario del Monastero di Serra de’ Conti, con un guazzetto di patate tipo pil-pil, il Verdicchio e sopra il pangrattato croccante; il budino alla turca sulla falsariga del già citato Il Cuoco delle Marche. Tantucci tiene tantissimo ai dolci, fra cui figurano torte da forno, creme, semifreddi da pasticciere consumato, con la concorrenza della selezione di formaggi artigianali marchigiani e in accompagnamento una bella selezione di vini da dessert, dove il Verdicchio passito, quello botritizzato e due vini di visciole se la battono col Sauternes. Ma il Verdicchio al Gallo Rosso è più di un ingrediente o un abbinamento: è un concetto. Del resto siamo a 20 minuti da Cupramontana e alla nouvelle vague del naturale la trattoria si è presto affezionata. Le referenze totali sono un’ottantina, con il grande bianco marchigiano in evidenza. Un vino che può coprire nelle sue declinazioni, macerato o meno, da questo o quel cru, un po’ tutti i piatti. “Rosso vestito da bianco”, come lo definisce Tantucci.
Gallo Rosso
Piazzale 11 Febbraio, 4A – Filottrano (AN)
T. 071 7223406
www.trattoriagallorosso.it
Chiuso: lunedì e martedì
Ferie: variabili, ma in inverno
Carte di credito: tutte
Parcheggio: no