(Danilo Pelliccia all'opera)
C’è un ristorante, a Torino, che riesce a far sedere a tavola i torinesi dopo le 21,30. E ci riesce tutti i giorni (escluso il lunedi). C’è un ristorante, a Torino, che riesce a fare sold out anche nelle serate di Champions League, evento che per tutti i suoi colleghi equivale a una forma di inevitabile iattura.
C’è un ristorante, last but not least, dove l’impresa apparentemente impossibile di coniugare sabaudità e romanità, Gianduja e Pasquino, Gadda e Pavese, è -da anni – solida realtà quotidiana. Per chi ancora non lo conosce e non è già pazzo di lui, benvenuti al “Du’ Cesari”, oasi trasteverina trapiantata nella Belleville torinese del quartiere San Donato. Siamo in corso Regina Margherita, arteria della viabilità cittadina est-ovest, con i platani d’ordinanza a spartire viale da controviale. Location priva di qualunque attrattiva, per usare eufemismi. Come sia stato possibile trapiantare e far fiorire proprio qui una tradizione gastronomica di schietta e spudorata osservanza romanesca (Romanesca e laziale, mi corregge lo chef. Annoto, ndr), è uno dei tanti piccoli e grandi miracoli compiuti da Danilo Pelliccia: titolare e chef, nonchè sommellier, nonché un sacco di altre cose, retaggio di una biografia che merita un capitolo a sé.
Nell’affollato pianeta della ristorazione torinese, tanti, troppi foodmaker si intestano ad arbitrio valori fondativi quali Tradizione, Territorio, Tipicità e bla e bla e bla. Uno storytelling che funziona finchè non ti siedi a tavola. Mangi e bevi, paghi, esci e quasi sempre pensi: ok, apprezzo le intenzioni (un po’ meno il conto, altra nota stonata), ma la mia nonna buonanima vi potrebbe dare lezioni, pure da morta (e pure gratis). Insomma, dietro le etichette, e gli articoli determinativi che orpellano certi menu, un vuoto desertico di contenuti. Turistica mediocrità drappeggiata da snobistica presunzione. Forse adeguata al livello medio della domanda, di un pubblico spesso diseducato al gusto a causa del generale appiattimento.
(Tris da leccarsi i baffi: cacio e pepe, carbonara e amatriciana)
Non è facile e si sa. Tenere in equilibrio qualità e prezzo e servizio. La dura legge del conto economico ha tarpato le ali a molti talenti. Ecco perché l’osteria Du’ Cesari rappresenta quasi un case study, una storia di successo talmente eccezionale da rendere persino superflua la regola. O forse, semplicemente, è la dimostrazione che al di là di tutti i business plan e gli algoritmi essenzializzatori, è sempre e soltanto la Persona a fare la differenza. Ecco, Danilo Pelliccia è quella Persona. Un professionista che ai predetti valori di Tradizione-Tipicità-Territorio ne ha aggiunti un paio, almeno altrettanto importanti: Creatività e Accoglienza, dando vita a una sintesi che sorprende per la semplicità e affascina per la qualità. E sazia. Ragazzi, quanto sazia. Altro elemento non trascurabile è la generosità di Danilo Pelliccia primo e infaticabile sostenitore di Inside/Out shared food e, più in generale, di Made in Carcere. Oltre alla cena organizzata per sensibilizzare al tema del progetto – che è stata sostenuta fino al 9 giugno dalla Onlus 1caffè – è stato tra i primi donatori di un centinaio di caffè contenti. Si, contenti, come si usa a Napoli e come si adatta meglio alla personalità dello chef.
Al Du’ Cesari la romanità è una faccenda di atmosfera, con quel tanto di kitsch ben dosato nell’arredamento. Di materie prime ricercate, a volte rare e salvate dall’oblio. Di un menu dove ogni singola voce, sia pure un contorno, ha anima e personalità autonome. Di ricette sapide, deliziose, originali, semplici ed elaborate, patrizie e plebee, raffinate e ruspanti, servite in porzioni “monstre”, desuete per i nostri stomaci cittadini avviliti da troppo finger food e pessimi apericena. A tutto questo, si aggiunge quella forma d’arte, in gran parte innata, che si chiama Accoglienza, l’ingrediente segreto talmente palese da rendere così unica l’esperienza nel ristorante di Danilo.
(Carbonara)
Ma adesso bando alle ciance e godetevi la cena. Se avete l’imbarazzo della scelta, fidatevi degli occhi e fatevi ispirare sbirciando i piatti dei vicini. Oppure restate sul classico: carbonara, amatriciana, cacio e pepe, griscia, fatte come Zeus comanda secondo tradizione, oppure nella sinfonia di varianti proposte dallo chef. Se vi sentite audaci, sfidatevi con uno dei piatti storici che Danilo ha salvato dall’estinzione con passione da etologo e cura da filologo: minestra di broccoli e arzilla, anguilla, pajata, coratella, coda alla vaccinara. Oppure una delle specialità frutto del suo estro creativo: la tartare di fassone con puntarelle guanciale e pecorino; la tartufonara, ovvero una carbonara modificata con parmigiano reggiano e tartufo; oppure la gettonatissima trippa fritta.
Consiglio di arrivare affamati: le porzioni, come detto, sono imperiali e credo che un pasto completo, dall’antipasto al dolce, sia fuori della portata di quasi tutti i normali bipedi. Però, ecco, il dolce: non perdetelo. Intanto per il piacere di avere uno dei più simpatici camerieri di Torino al vostro tavolo. Poi, quando Vittorio, questo è il suo nome, avrà finito di elencare le delizie, potete chiedergli di ripetere, perché qualcuno di certo vi è sfuggita. Oppure dirgli, semplicemente, “fai tu”. Lasciatevi servire, e gustatevi una leccornia preparata or ora dagli angeli. Cioè, come dicono a Roma, buona “da panico”.
Andrea Omegna
Dù Cesari
Corso Regina Margherita, 252 – Torino
T. 011 484430
Chiuso: lunedì
Ferie: variabili
Carte di credito: tutte
Parcheggio: no