Non solo un libro importante, un libro necessario, urgente, bellissimo.
C’è un legame tra patriarcato, e la nostra dieta? Se sì, quale? Lo prova a spiegarlo in modo chiaro un libro uscito in Francia qualche tempo fa e ora tradotto e pubblicato in Italia. Perché il nostro cibo, e l’alimentazione per come sono strutturate, sottintendono una weltanschauung tossica, la cui coolness è legata a tassonomie valoriali agé, sessiste, classiste e ingiuste?
Ce ne spiega, brillantemente i motivi Nora Bouazzoni, giornalista francese di cui Le Plurali porta in Italia, “Faminismo, il sessismo è in tavola”, edito in Francia da uno degli editori più à la page d’Oltralpe: Nouriturfu, per i cui tipi esordì anche Tommaso Melilli.
Cosa c’entra il patriarcato con una bistecca? Dove si nascondono le donne chef? L’agricoltura è roba da maschi? “Il tentativo di questo libro, è quello di spiegare nel dettaglio come cibo, sesso e genere femminile rimangano intimamente legati e come l’alimentazione abbia sempre permesso di sottomettere le donne”.
Già nelle prime pagine, si mettono a fuoco con forza temi che forse, meriterebbero ricerche, e dibattiti ben più ampi, che speriamo questo libro possa, prima o poi, innescare.
Da un lato LA cuoca, dall’altra LO chef, da un lato la cucina privata, che sconfina, pericolosamente nella cura, dall’altra la cucina professionale, colta, e creativa, ovviamente, sempre, maschile.
In queste pagine la cui efficacia passa anche per lo stile, tagliente e preciso come le argomentazioni che porta, inizia dal cibo per parlare di tutta la sfera domestica e dell’ordine patriarcale che ha come architrave la famiglia “tradizionale” dove “reificata, controllata e sfruttata dagli uomini, la donna sembra condividere lo stesso destino biologico degli animali: perpetuare la specie umana, riproducendosi e nutrendola gratuitamente, volente o nolente”.
Dopo un lungo excursus storico antropologico sulla condizione femminile nella storia, ed il suo legame col cibo, il libro entra nel vivo nella disamina di come i contesti alimentari e gli stili di consumo del cibo siano intrisi di tassonomie valoriali patriarcali e violente, che sono incrostate ormai nell’immaginario simbolico e culturale. E così “le donne preferirebbero il rosé, le bibite dietetiche, i cocktail colorati, il pesce, l’insalata. Agli uomini, invece, piacerebbe il cibo che sazia, quello vero, e i superalcolici, quelli per uomini che non chiedono il permesso. Un altro mito sulle preferenze innate che giustifica le discriminazioni”.
L’analisi portata avanti con argomenti stringenti e analisi acute dall’autrice, mostra già in nuce, le tematiche che saranno scandagliate nei libri successivi, (che speriamo l’editore porti presto nella nostra lingua), della connessione delle tematiche dell’emancipazione della donna, con quelle dell’anti specismo e dell’ecologia.
E’ difficile, nell’ottica dell’autrice parlare di cibo e di genere, senza porre questioni politiche, ampie ed urgenti. Riflettere risu ciò che mangiamo, sulla carne ad esempio, pone questioni che vanno ben al di là del cibo in sé per sé e spalancano dilemmi etici e questioni che hanno più a che fare con la politica (e quindi coi rapporti di potere) che con quelle di gusto.
Se le donne da un lato sono condannate a cucinare per gli altri nella sfera privata, lasciando i grandi palcoscenici della cucina professionale ai maschi, il loro rapporto con il cibo e con l’alimentazione in genere è viziato da immaginari artificiali che stabiliscono ideali di bellezza irraggiungibili e spesso aprono la porta a disturbi alimentari o, nel migliore dei casi a rapporti problematici con il cibo: la donna infatti “è condannata a un’altra forma di penitenza, quella della dieta perenne” in una società in cui “le ragazze vengono cresciute con l’idea che il loro corpo sia qualcosa da costruire e non da vivere”.
Tra le pagine di questo libro, si troveranno molte analisi impietose su come i media e le pubblicazioni specialmente quelle rivolte alle donne, vengano ritenute palesemente responsabili, della perpetrazione di un sistema sociale iniquo che ha radici lontane.
La pars construens come spesso accade in questo tipo di libri è più debole di quella destruens, tuttavia l’ultimo capitolo è una sorta di chiamata ad unirsi maschi e femmine per scardinare un sistema ingiusto ma tuttavia non eterno e non dato una volta per tutte, pur non essendo in ultima analisi un libro ottimista, non è un libro rassegnato, anzi.
Il paragrafo con cui si conclude il libro è una sorta di manifesto per una società possibile, più bella, e forse anche più saporita, è una chiamata se non alle armi, alle forchette, che suona, secondo me perecchio bene: “Dobbiamo essere determinate. Non dobbiamo avere paura delle parole, né delle rivendicazioni: “femminista” non è un insulto e “patriarcato” non significa che tutti gli uomini siano dei bastardi. Al contrario di quanto ci hanno a lungo fatto credere, il patriarcato non ha niente di innato. È una costruzione culturale, un prodotto della storia e che la storia spazzerà via. Il cibo è vita, letteralmente. È sostentamento, piacere, conforto, patrimonio, necessità. È ciò che abbiamo tutte e tutti in comune. Gli uomini ne hanno fatto un’arma, ma la guerra non è finita. Dobbiamo essere faministe!”.
Faminismo, il sessismo è in tavola
Nora Bouazzouni
Le Plurali
pp. 104
14 euro