di Rosa Russo
Tanto vale dirlo subito. Il primo libro di Andrea Berton non è il solito libro di ricette per gli addetti ai lavori o per i gourmet.
E’ un atlante, una geografia emozionale del mondo della cucina. Ma è anche un libro doppio, un piccolo zibaldone di pensieri. Un diario di ricordi, di aneddoti e di foto degli esordi (con Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse, i suoi maestri). E ancora un viaggio – in continuo divenire – in grado di raccontare una passione instancabile: quella di Andrea per la cucina. Una passione che dura da venticinque anni. Una vita, a pensarci, nonostante Berton sia comunque un giovane chef stellato calmo, serio, organizzato e soprattutto terribilmente desideroso di imparare. Così lo descrive, Gualtiero Marchesi in una delle pagine del libro. Un volume che nasce da un’idea originale: quella di fornire due versioni della stessa ricetta. Da un lato del volume c’è la versione raccontata, preparata per il ristorante e che nasce da un pensiero, da uno studio e prevede la messa a punto, la prova. Rigirando il libro troviamo, invece, la ricetta tradizionale. Quella semplificata, da fare a casa e alla portata di tutti. Certamente altrettanto gustosa. La parmigiana, ritenuta un piatto squisito ma dall’estetica difficile, viene così ripensata da Berton con i medesimi ingredienti di quella tradizionale.
Questo felice stratagemma sembra suggerire un metodo che sembra quasi didascalico: far comprendere al lettore che per Berton (di origini friulane) non esiste l’alta e bassa cucina, ma solo quella buona e cattiva. Non è il solito brodo, dunque. Anche perché quello che emerge in questo volume, senza indice e appena uscito nelle librerie, è il ritratto a tutto tondo di uno chef (con grande sensibilità, manualità e palato) che è prima di tutto un uomo. Un uomo innamorato in primis della sua famiglia e di Milano, la città che qualche anno fa lo ha accolto. Un grande appassionato di viaggi e di esperienze che lo hanno arricchito di nuove e preziose competenze per il suo mestiere. E ancora: l’amore per lo sci, la passione per le automobili e quella per il Milan. Uno sport, il calcio, che negli schemi sembra ritrovare delle analogie con il mestiere dello chef: “Un cuoco” scrive Berton “deve sapersi muovere nella zona assegnata e con i tempi corretti, altrimenti il “gioco” diventa complicato”. Una passione instancabile che, con l’esperienza del “Trussardi alla Scala”, si è arricchita della doppia stella Michelin. Chiuso questo capitolo, la decisione di rimanere a Milano con due concept inediti e il suo nuovo locale in una delle zone più suggestive della città: Porta nuova – Ex Varesine.
Insomma un grande cuoco italiano da cui apprendiamo che il cibo non è un trend momentaneo, come a volte viene da pensare. Colpa di questa tendenza che ci fa sentire tutti un po’ gourmet e che ha fatto sì che gli chef diventassero veri divi e che il cibo, diventasse una moda in grado di investire ormai la nostra esistenza. Ma allora di cosa parliamo, quando parliamo di cibo? Di una costruzione culturale che parla di noi, del tempo che passa e delle persone che amiamo. E arriva a toccare, anche tutto ciò che rappresenta la memoria e l’identità, come accade nelle pagine del bel libro di Andrea Berton.
Non è il solito brodo di Andrea Berton
Casa editrice: Mondadori
pagine 160
costo 35 euro