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Cosa leggo

Tra fornelli e pietanze, il libro Cucina aperta apre le porte dei ristoranti

12 Maggio 2024
A sinistra la copertina del libro “Cucina aperta” e Tommaso Melilli A sinistra la copertina del libro “Cucina aperta” e Tommaso Melilli

È grazie a Tommaso Melilli che trito la cipolla più fine del sedano e della cipolla nel soffritto, è grazie, anche, a Tommaso Melilli che forse, sono sopravvissuto al lockdown leggendo di ristoranti meravigliosi nel periodo in cui si stava in casa, panificando maldestri, farine dai nomi criptici. 

Questo suo nuovo libro, che tanto nuovo non è per chi come me aveva avuto tra le mani l’edizione francese originale dal titolo bellico-culinario Spaghetti Wars>, uscito nel 2018 per una delle case editrici più belle e colorate d’Oltralpe, Nouriturfu >è forse più attuale ora di quando uscì.

E’ una sorta di ricettario antropologico questo Cucina Aperta appena uscito per i tipi di 66THAND2ND, anche se qualcuno potrebbe obiettare che non ci siano libri di ricette che non lo sono, come se il cibo non fosse, sempre, anche antropologia, della più alta anche. 

Resta l’afflato democratico, egalitario finanche, negli scritti di Tommaso Melilli infatti la vera cifra di questo libro,  è la grande dignità che percorre la vita e i pensieri di chi la ristorazione la fa, i più fortunati per scelta, gli altri per necessità, il valore ontologico dell’ospitalità nel suo senso più ampio, vero ed estremo. 

I toni agrodolci, ed eroici con cui sono raccontanti i protagonisti di quel mondo in cui avviene quella che lui chiama fotosintesi dell’ospitalità, di quei protagonisti del desiderio, che ogni sera fanno sì che ci sia qualcosa nel piatto da mangiare, per gli altri, in quanto la condizione per lavorare e vivere nel mondo dei ristoranti è la generosità: “essere pronti a dare più di ciò che dovremmo, e di ciò che ci viene chiesto”. 

C’è tanta Francia e tanto esistenzialismo, in queste pagine, in questi racconti che hanno come scena i banconi di zinco (unico metallo conduttore dell’amicizia), dei Bistrot, della bistronomia parigina degli anni zero, dell’ app Le Fooding, dei grembiuli, in di denin blu dei cuochi scapigliati, ci sono i lavapiatti, o plongeur, sempre chiamati per nome, (Melilli è ha scritto grandi pagine su uno di loro), ma sopratutto c’è quella sensazione, alla fine di ogni racconto che simile a quella che si prova alla fine di un servizio: aver fatto con umiltà qualcosa di utile e di necessario.

 Tra le pagine di Cucina Aperta c’è voglia di spiegare cose accade in quegli strani posti che monopolizzano i feed dei nostri social ma ci cui continuiamo a sapere così poco: i ristoranti. 

Ristoranti come luoghi in scoprire l’inconsueto come avamposti d’incontro umano e culinario, luoghi in cui i cuochi quelli veri riescono a trovare nei loro piatti un equilibrio funambolico tra neofobia e neoflia, tra curiosità e terrore. 

I ristoranti in cui si creano identità nuove, si inventano tradizioni (le tradizioni sono sempre inventate), identità che si basano sull’ibridazione, sulla mescolanza, sulla bellezza che nasce dagli incontri col diverso, in cui il nuovo ancora, può accadere. 

Nelle pagine scorrono i fotogrammi di una vita che cambia, di una Francia che cambia, e di come tutto il mondo sullo sfondo cambia a sua volta, non necessariamente per il meglio, struggenti sono le pagine in ricordo del compianto autore di Kitchen Confidential, Antony Bourdain, che amava il Negroni perché, diceva che “Quella cosa di un lungo sapore molto dolce all’inizio, e amarissima alla fine gli ricordava la vita e gli sbagli che aveva sempre continuato a fare”. 

Questo piccolo libro, ci ricorda senza inglesismi forzati che, parlare di cibo (non di food per fortuna), è sempre parlare un po’ di noi, del mondo che viviamo, di come questo mondo cambia con noi, perché “la storia degli uomini è sempre storia della loro fame”.

Questo piccolo libro ci fornisce forse un’umile bussola per orientarci in questi tempi incerti, ci parla di piatti dove la politica è inevitabile, “che sono quelli che si preparano a casa dei lavapiatti il giorno che non lavorano, sono i piatti tradizionali, che non possono mangiare i popoli che vengono massacrati e cacciati dalle loro case”, mentre noi coi nostri ristoranti di cucina “rivisitata” nascondiamo in realtà la nostra noia. 

Questo piccolo libro, è un libro necessario. 

Cucina Aperta
Tommaso Melilli
66thand2nd, 2024
160 pagine
14,25 euro