Cosa è?
Alzi la mano chi, ehm, un po’ cresciuto, non conserva in un cassetto nella propria memoria e sulle papille il proprio, personale, singolare, esclusivo e perduto atlante di cibi perduti?
Tutti, per l’appunto. Ognuno di noi ha una sorta di ricettario delle pietanze mai più mangiate da tempo immemore. Ce le preparava la nonna, la zia, la mamma, una ex fidanzata, un amante, il cuoco di un borgo disperso e mai più ritrovato. Miscele di gusti che ci riportano al desiderio perduto, al gusto che accende la memoria. Del resto, a volere deragliare per un attimo, a quel dandy di Marcel Proust bastava mettere in bocca un biscotto, la madelaine, per essere trasportato all’epoca d’oro della sua fanciullezza a alla sua caterva di malinconie, tenerezze, ricordi e disperazione travasati nel sua epopea romanzata del tempo perduto.
Perché leggerlo
Ma basta divagare, perchè il cibo perduto è un libro scritto dallo storico Alberto Capatti che regala al lettore ottanta schede-racconto di “cucina dimenticata”. Una specie di divertimento intellettuale che qua e là mostra meraviglie gastronomiche sbucate fuori dalla macchina del tempo. Si comincia con un ingrediente che ha un sorta di nome biblico, abalon, un’ostrica gigante cinese, e si arriva a zuccaro, un’antica spezia dolce, passando per il malinconico “pane perduto”, per l’orrorifico occhio, per l’allarmente “porco eccitato”. La seconda parte è dedicata alle nonne, attraverso i ricettari che le vedono protagoniste, prime custodi nell’immaginario popolare di una cucina senza di loro condannata all’oblio, capaci di riproporla all’attenzione di affezionati lettori, conservandone così la memoria.
Giancarlo Macaluso
Piccolo atlante dei cibi perduti
Alberto Capatti
Slow food editore
Pagine 185
euro 16,50