La voce dell’Imam giunge dalla moschea, Et- takwa, in via San Francesco e si diffonde forte e decisa per le strade intorno. Tuona: As-Salamu ‘alaykum wa raḥmatu-Llah le ultime parole che indicano che la preghiera è terminata. Il lettore dei sacri testi islamici, con il tipico berretto Kufi, saluta i fedeli che alla spicciolata vanno via. E cala di nuovo il silenzio in quel dedalo di vicoli. Poi fai pochi passi e la scena cambia. Ti imbatti nel vescovo della diocesi con lo zucchetto in testa che rientra nel palazzo in piazza della Repubblica. Fotogrammi di uno stesso film dal titolo “Pluralismo religioso”. Personaggi sono gli abitanti di Mazara del Vallo ripresi nello scorrere della loro vita nel luogo più arabo d’Italia dove da tempo vige la “pacifica convivenza” tra Occidente e Oriente, tra cristianesimo e islamismo. Benvenuti nel comune che si trova alla foce del fiume Màzaro che dista meno di 200 chilo- metri dalle coste tunisine del Nord Africa. La città è uno dei più importanti e noti porti pescherecci del Mediterraneo, base di una flotta di circa 400 grandi motopescherecci d’altura (con circa 4.000 pescatori imbarcati) che ne fa il principale distretto della pesca in Italia. Con la mia macchina fotografica ho raccontato uno dei quartieri della cittadina del trapanese: la Casbah. Qui, dove abitano, circa tremila tunisini, rimane l’impianto islamico della dominazione araba dell’827, quando i berberi sbarcarono a Mazara, da quella che oggi è chiamata Tunisia e da dove ebbe inizio l’invasione della Sicilia. Dodici secoli dopo, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, i tunisini “ritornarono” nella città del trapanese, per lavorare nel settore della pesca che a quel tempo era in forte crescita. Incamminandosi per queste strade ci si imbatte nei cortili chiusi alla vista esterna, avvolti in una atmosfera ovattata e in lunghi percorsi che si intrecciano tra loro in labirinto, nel quale si ascoltano con l’immaginazione, storie e leggende. Si incontrano pochi abitanti, ma si possono vedere molto spesso turisti che fotografano i grandi vasi colorati e le mattonelle incastonate nei muri e nell’asfalto, tasselli di quel grande museo della ceramica a cielo aperto realizzato, con il concorso di artisti, giunti da tutto il mondo, negli anni scorsi, dal sindaco Nicola Cristaldi. Le opere danzano in un gioco cromatico che risalta agli occhi dei visitatori. Le foto di questo libro sono state realizzate in diversi momenti nell’ultimo decennio. Ho immortalato frammenti di vita, in un microcosmo considerato un modello di inclusione nel mondo. Ho congelato un tempo sospeso. Volti di uomini, donne e ragazzi intenti a interpretare un antico copione, quello della loro esistenza. Con la preghiera cristiana e quella musulmana che qui convivono. Da un lato le campane, a pochi metri di distanza la voce amplificata del muezzin, che dall’alto del minareto modula con voce alta e possente, rivolgendosi ai quattro punti cardinali, la formula convenuta per richiamare i fedeli alle cinque preghiere stabilite dal Corano in cinque ore diverse del giorno.