Forse Disney+ è la piattaforma giusta per quelli di noi più affamati di food fiction. Dopo le epocali tre stagioni di The Bear, (Tutte e tre epocali in modo differente) un altro grande centro a tema food, il lungometraggio Cooked.
Il titolo originale di questa produzione originale made in Turchia, è Umami, ma sì sa spesso i molto del sapore titoli del cinema nel nostro Paese è Lost in translation.
Tutto in una notte, o meglio in un servizio, come il troppo poco visto Boling Point, tutto sudore, dramma e umanità più o meno danneggiata, dietro fornelli bollenti, come in The Bear, basta per invogliarvi alla visione?
Questo food movie in salsa (piccante) turca, ci racconta uno chef: Sina Bora, alle prese con un servizio importantissimo, che può decidere il suo futuro e quello del suo ristorante, mentre il suo anziano padre entra in sala operatoria per un’operazione difficilissima.
Tra clienti maleducati e dinamiche tossiche, tra la brigata di cucina e lo staff di sala, ingredienti che mancano e umani al limite del collasso emotivo questo film, ci proietta, nelle (durissime) dinamiche del fine dining, della sua (dubbia) sostenibilità umana prima che economica.
Basterebbe guardare questo film per avere un punto di vista sensato su un tema, quello del fine dining (qualunque cosa significhi), delle sue dinamiche, delle sue (tante) miserie e delle sue (poche) virtù.
Basterebbe guardare questo film per ricordare a tutti noi che forse per ogni tipo di analisi sensata, sulla ristorazione e sulla sua crisi d’identità e di fatturati, anche, che bisognerebbe semplicemente partire dalla persone che ci lavorano nei ristoranti, dalle loro storie, rendersi conto che a certi livelli di pressione fisica ed emotiva, è difficile restare umani o anche solo vivi.
Questo film ha il grande pregio di farci vedere che le persone che ogni sera cercano di fare uscire, più rapidamente possibile, i nostri piatti, tenendo conto delle intolleranze, delle richieste folli e di tutti capricci di un pubblico sempre più demanding e viziato, hanno delle storie, delle vite, dei genitori, delle bollette da pagare, una vita, in poche parole, oltre i fornelli.
Mirabili le sequenze in cui una cameriera con l’unica colpa di essere una ragazza carina viene importunata in modo pesante da un tavolo di maschi bianchi in libera uscita, mentre cerca impassibile di prendere l’ordinazione, mirabili quelle in cui il cameriere si deve fare carico di uno psicodramma familiare, mentre cerca solo di servire il vino.
Un grande spaccato di Restaurant Life, dove mentre lo chef collassa al suolo dopo avere bevuto scotch a collo, dalla bottiglia, e non sa se vedrà mai più il padre che non ha potuto salutare prima dell’operazione (agli chef la vita è concessa solo nelle ore prima o dopo il servizio), in sala, tra gli applausi si assiste ad una dichiarazione di matrimonio.
Questo il bello, e sempre lo sarà dalla vita dei ristoranti, questo Umani della vita a cui allude il titolo questo equilibrio meraviglioso tra dolcezza e acidità tra vita e morte, tra dramma e poesia, il quinto gusto non solo del palato ma anche della vita, che solo quelli che la ristorazione l’hanno vissuta dall’altra parte possono provare.
Vedete questo film e imparata a guardare, cuochi e camerieri e tutti quegli esseri umani che fanno sì che ogni sera, nel mondo si sollevino le saracinesche dei ristoranti come persone, con una vita, una storia e degli affetti, ne guadagnerà il sapore della vita di tutti.